mercoledì 7 settembre 2016

no non sono stato adottato - prima parte

 Ricomincio con le mie cosine a puntate. L'altro "l'aria leggera del nord", abbiamo già iniziato una serie di letture con Marco Zappalaglio, fra non molto inizieremo le prove vere e proprie per un probabile spettacolo. Questo non lo so, questa è la mia vita, pensavo di farne uno spettacolo, ma è la mia vita. Già da mesi volevo pubblicare, ma mi sembrava non fosse ancora tempo. Ora sono successe tante cose e forse il tempo è arrivato. Ho cambiato casa in un paese che mi piace, dove conoscevo già metà delle persone e l'altra metà la sto conoscendo ora. Non ho più i fantasmi che mi turbano il sonno e non ho più voglia di cercare o scoprire chissà cosa. Qualsiasi cosa sia successa, va bene così. Sto ricominciando un'altra fase della mia vita che non spero sia l'età della saggezza, ma della follia vissuta con leggerezza. Amo questo testo perchè è il più spudorato, perchè sono io, perchè mi piacerebbe possa servire a qualcosa.  In ogni caso per quegli amici temerari che hanno voglia di continuare a leggere, un grazie infinito. Conosco tantissime persone con dolore profondo nel cuore, il dolore chiaro, non può essere cancellato, ma arriva il momento che gli si può camminare di fianco, come il vento. 

"no non sono stato adottato" - prima parte

1

Non avevo voglia di parole, vedevo solo immagini, quasi sequenze di danza. La prima era un angelo indifferente, con un gonna ampia tipo dervisci, ma sotto i vestiti di un guerriero orientale. Aveva i capelli lunghi e una benda sugli occhi. Tutto vestito di nero. Nebbia e lui avanzava danzando leggero sulle note di Valse uno, quello di Sostakovich. In mano un bastone e dal soffitto pendevano diversi vasi di terracotta che l'angelo distruggeva con il bastone. Dai cocci distrutti si frantumavano in aria miriadi di particelle di sabbia. L'inizio e la fine della vita e un percorso a volte leggero, a volte disseminato di cocci caduti. Poi mi sono rimaste le immagini nel cuore e non avevo più voglia di immagini o di danzare e improvvise e prepotenti sono tornate le parole.

Quando era morta mia madre, avevo voluto essere io a raccontare di lei, non un prete che neanche la conosceva e avevo concluso con "Ciao ma, volevo che il tuo viaggio fosse leggero come il vento di queste colline che si incrociano fra la montagna e il mare". Era febbraio c'era la neve. Come tre anni prima quando era morto mio padre, ma lì la neve era stata tanta, metri. Non si potevano seppellire i morti in quei giorni. Poi improvvisamente il sole e siamo partiti verso quelle colline romagnole dove ci sono le tombe di tutti i parenti da parte di mia madre. I parenti, tantissimi, da parte di mio padre sono seppelliti in diversi cimiteri della Romagna, chi più vicino alle colline, chi più vicino al mare.

Non ho mai chiamato i fratelli di mio padre o di mia madre zio o zia. Ma sempre con il loro nome. Non ho mai chiamato i miei genitori babbo o mamma, ma sempre e solo con il loro nome e non ho mai capito perchè.

La seconda immagine che avevo in testa era un palcoscenico interamente ricoperto di terra rossa, non un palcoscenico, ma uno spazio grande quanto una prateria mongola. In lontananza, montagne illuminate al tramonto da quel proiettore che si chiama sole. E qua, prima uno, poi due, tre fino ad essere tantissimi, uomini che procedevano lentamente. Tre passi , si inginocchiavano, si sdraiavano per terra , si rialzavano, ancora tre passi e via via. Tutto lentissimo, esasperante, ipnotico affascinante. Le vesti lunghe di questi pellegrini preganti viandanti, frastornate da un vento impetuoso. Una preghiera collettiva, un saluto singolo e collettivo alla vita che nasce e a quella che va. Poca fantasia, ma l'unica musica che riuscivo ad immaginare, era quella che scaturiva dagli strumenti e dalle corde vocali dei musicisti e dei cantanti mongoli.

Da quando sono piccolo a volte mi succedere di chiedermi se sono pazzo e spesso non riesco a capire cosa è reale fra tutti i mondi possibili che mi annebbiano la mente.

Avevo sognato, da ragazzino, alcune volte notti di seguito, lo stesso sogno. Ero in un borghetto di collina , le strade lastricate e le case di sasso. E c'era il padre di mia madre che mi aspettava in cima alla salita. Era il paese in cui ero nato e in cui mi sarebbe piaciuto tornare. In realtà il paese dove sono nato , o comunque dove credevo di essere nato è totalmente differente. Ma nel sogno era il mio paese, era la casa che cercavo. Infatti mio nonno, piccolo biondo, occhi azzurri, a cui non è mai interessato nulla della moglie, dei figli e tantomeno dei nipoti, mi guardava sorridendo e diceva " questa è la casa in cui sei nato " . Ricorrente questo sogno e ne avevo parlato a mia madre – lei sapeva leggere e interpretare i sogni- era rimasta un pò così e mi aveva risposto " è solamente un sogno".

Per anni ho cercato questo posto, ho sempre pensato che esistesse davvero e volevo trovarlo. Sperduto secondo me in qualche vallata delle colline o delle montagne della Romagna, delle Marche o dell'Umbria. Sempre per anni, io figlio unico , ho pensato di avere non un fratello, ma un fratello gemello. E anche lui ho cercato. L'ho cercato per anni anche se tanti mi dicevano "fantasie di figlio unico" . Fantasie al punto di stare male. Una volta ho preso il treno e sono andato a Pesaro, ero convinto che lì avrei incontrato questo mio fratello, ho girato una intera giornata, il fratello non l'ho incontrato, però ho visto la città che non avevo mai visitato. Una volta sul traghetto per la Sardegna, ero convinto ci fosse anche lui, sempre il fratello gemello, e ho girato per tutta notte sperando che il tipo mi si piazzasse davanti e dicesse "sono io".

Diverse volte, fin da piccolo, chiedevo in casa " ho un fratello gemello?" , poi ho smesso di chiedere perchè mi accorgevo che questa mia domanda creava sofferenza. Un'altra immagine che avevo in testa era quella di un giovane padre contadino. Anni 50, vestito della festa, la giacchettina un poco stretta, sotto una canottiera e i piedi scalzi. Questo giovane padre teneva in braccio un bimbo appena nato e lo cullava, sempre danzando, al ritmo di una ninna nanna. Non quella classica o le variazioni popolari, una ninna nanna dell'est europeo, più ritmata, più allegra, più lancinante. Una apparizione veloce come un fantasma che ti compare per strada, ti guarda ti sorride, oppure fa un pezzo di strada vicino a te senza mai parlare e poi scompare.

L'inverno se ne è andato, fra poco la primavera, in anticipo rispetto ad anni fa , poi l'estate che in questi paesi dove ora abito è insopportabilmente carica di umidità, poi ottobre novembre e ancora inverno.

Sono nato in un paesino delle colline romagnole, così almeno ho sempre creduto, il 28 o il 29 di agosto , forse qualche giorno prima di tantissimi anni fa. E tutta la mia vita è sempre stata costellata di episodi quantomeno strani, a volte pericolosi e non sono mai riuscito a capire perchè. E tante persone hanno seguito gli avvenimenti della mia vita, correndo in parallelo senza avermi mai dato la possibilità di un incontro.

No, non sono stato adottato.

Sono nato il 28 o il 29. Ufficialmente mi è sempre stato detto che ero nato il 28 , ma mi avevano segnato all'anagrafe come nato il 29. Succedeva tanti anni fa. In realtà neanche i miei genitori avevano una data precisa, chi mi diceva che ero nato nella notte di un giorno, chi il pomeriggio dell'altra giorno. Una cosa so con certezza: nessuno dei parenti di mia madre, che pur abitavano a non più di cinquanta metri, è stato presente alla mia nascita. Mia madre e i suoi parenti erano legatissimi fra loro e niente succedeva che gli altri non sapessero o non fossero presenti.

Uno da fuori, quando pensa alla Romagna pensa al mare, il mare adriatico, i pedalò, le spiagge affollate, la piadina, gli amori notturni con le ragazze straniere, i ragazzotti con la esse strascicata a pagamento per le signore mature. Le famiglie con i tanti bambini e le ciabattine ai piedi e i racconti di Tondelli. Eppure a pochi chilometri inizia la romagna delle colline, colline strane, belle , dolci a volte, ostiche spesso, poi i boschi e le foreste abbandonate, poi le montagne che una volta erano toscana, ma che il duce aveva stabilito fossero Romagna.

Con il duce che nasce a Predappio, con Forlì devastata per farne diventare l'emblema dell' architettura e della grandiosità fascista, il Tevere mica poteva nascere in Toscana. Tevere, terra di Romagna , provincia di Forlì.

La cosa affascinante della Romagna è che ogni paesino pensa lui di essere Romagna, gli altri no. Per cui uno della campagna , delle colline o della montagna, guarda con disprezzo quelli di altri comuni o del mare, considerandoli romagnoli un pò imbastarditi e viceversa. C'è un divertente monologo di un attore che abita dalle parti di Bagnacavallo e alla fine riesce a sostenere che la Romagna è praticamente attorno a casa sua. Figuriamoci , è provincia di Ravenna.

La Romagna di cui parlo io, è quella incastonata tra Forlì ,Cesena, la strada E45 quella che porta a Roma e ai confini con la Toscana e un'altra strada che da Forlì porta su sempre ai confini con la toscana, due mondi comunque differenti perchè in mezzo c'è un crinale di colline – su questo crinale ci sono i percorsi dei tedeschi in fuga-. Da una parte Borello, Casalbono, frazioni del comune di Cesena, poi Mercato Saraceno, Sarsina, San Piero in bagno, Bagno di Romagna. Questi i comuni , ma in realtà i paesi che intendo io sono piccoli borghi o frazioni più all'interno e ai confini stretti con il crinale di cui dicevo. Dall'altra parte Forlì , Meldola, Predappio, Civitella di Romagna, Santa Sofia. Che poi qualche paesino di uno piuttosto che un altro comune , possa essere di qua o di la dal crinale, non ha importanza. E' anche successo che dopo la seconda guerra mondiale, sono cambiati diversi confini e dagli anni '50 una frazione magari veniva passata da un comune all'altro, cambiavano le strade, le mappature e le numerazioni. Paesi di confine.

Io intendo parlare di un triangolo, un triangolo in parte maledetto che qualcuno aveva anche definito il far west della romagna. Un triangolo fatto di povertà, contadini al servizio di grandi e piccoli proprietari terrieri, un terreno fertile, da diventare uno dei granai del duce, e soprattutto i traffici di diverse miniere di zolfo e rame.

Non si usa più prendere la cartina geografica di una zona, google maps è molto più comodo, poi se devi andare da qualche parte e non sai come muoverti hai il navigatore. Io l'ho buttato perchè preferisco fermarmi per strada e chiedere alle persone così magari ci scappano anche quattro chiacchiere. Però se uno prende una cartina geografica, quelle che non sai mai come ripiegare, segue la traiettoria da Cesena, lungo la E45 ed esce a Borello - Borello è un paesone frazione di Cesena - poco dopo Borello in direzione Piavola, Linaro, Ranchio c'è una strada sulla destra.Qua iniziamo a segnare una linea di quel triangolo di cui parlavo prima. Si va su , pochi chilometri , grossa pendenza. Prima Casalbono , diventato famoso perchè si diceva che ci passassero gli ufo, poi case Venzi, una linea praticamente diritta e in cima dove finisce la strada , sulla sinistra ne comincia un'altra: strada Valdinoce. Qua siamo già in territorio straniero infatti si passa sotto il comune di Meldola. Il paesaggio è spettacolare. Pochissimi alberi, calanchi di bellezza infinita tagliati con l'accetta da un gigante arrabbiato. Il vento di queste colline incastonate fra la montagna e il mare, è forte veloce, fresco e frizzante. A volte sembra che canti. Più avanti verso le montagne cominceranno poi anche i boschi e le foreste, ma qua nulla. Mandrie al pascolo, erba medica. In cima un grande ricevitore non so se per le linee telefoniche o per la televisione.

Dove finisce questa strada , proprio ad angolo, fra statale Casalbono, frazione di Cesena e strada Valdinoce , frazione di Meldola,una casa enorme, tutta recintata e con le porte e le finestre chiuse da inferriate che la fanno assomigliare più ad una armeria che non ad una casa. Dalla parte di strada Valdinoce, un palo con su issato a mò di bandiera un cavalluccio a dondolo. La prima volta che ho visto questa casa e questo cavallo a dondolo, sono stato male, la testa ha avuto dei giramenti e non riuscivo a capire più dove fossi. Come se centinaia di persone che avevano abitato quei luoghi, mi passassero vicino senza vedermi, tristi come la loro miseria, le loro ferite, poi i partigiani nascosti, e i tedeschi, massacro dopo massacro, in fuga. E ancora i partigiani, i fascisti, quelli che si fingevano di volta in volta partigiani o fascisti per andare a razziare e rubare nelle case. I minatori. Tutto in pochi attimi di stordimento. Niente di angosciante, ma leggero e veloce come il vento in quei giorni fortissimo.

Ritorniamo indietro sulla nostra cartina dove già abbiamo tracciato una linea e ne tracciamo un'altra, dal nostro punto di partenza andando su verso le montagne lungo una strada che si chiama via Linaro. Costeggiamo sulla destra Borgo delle Rose. Ci passi dentro una volta con la macchina, più che sufficente. Arrivi a Piavola quattro case messe in croce, divisa in due parti. Prima del rigagnolo che va a buttarsi nel torrente Borella che a sua volte giù nel paese di Borello , va a buttarsi nel fiume Savio, siamo ancora comune di Cesena. Dopo il rigagnolo, comune di Mercato Saraceno. Credo che le case un pò prima della curva che porta a Piavola e sono asserragliate sulle cime di qualche collina, facciano parte della frazione di Casalbono. Da Piavola la linea finale del triangolo , su attraverso le strade sterrate con pendenza da brivido in mezzo ai campi, arriviamo di nuovo a case Venzi e poi strada Valdinoce. Tutto sommato pochi chilometri. 
Questo è il triangolo in cui tutto succede, o meglio sono successe, le cose che sto per raccontare. 
............. continua 

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