Ricomincio con le mie cosine a puntate. L'altro "l'aria leggera del nord", abbiamo già iniziato una serie di letture con Marco Zappalaglio, fra non molto inizieremo le prove vere e proprie per un probabile spettacolo. Questo non lo so, questa è la mia vita, pensavo di farne uno spettacolo, ma è la mia vita. Già da mesi volevo pubblicare, ma mi sembrava non fosse ancora tempo. Ora sono successe tante cose e forse il tempo è arrivato. Ho cambiato casa in un paese che mi piace, dove conoscevo già metà delle persone e l'altra metà la sto conoscendo ora. Non ho più i fantasmi che mi turbano il sonno e non ho più voglia di cercare o scoprire chissà cosa. Qualsiasi cosa sia successa, va bene così. Sto ricominciando un'altra fase della mia vita che non spero sia l'età della saggezza, ma della follia vissuta con leggerezza. Amo questo testo perchè è il più spudorato, perchè sono io, perchè mi piacerebbe possa servire a qualcosa. In ogni caso per quegli amici temerari che hanno voglia di continuare a leggere, un grazie infinito. Conosco tantissime persone con dolore profondo nel cuore, il dolore chiaro, non può essere cancellato, ma arriva il momento che gli si può camminare di fianco, come il vento.
"no non sono stato adottato" - prima parte
1
Non
avevo voglia di parole, vedevo solo immagini, quasi sequenze di
danza. La prima era un angelo indifferente,
con un gonna ampia tipo
dervisci, ma sotto i vestiti di un guerriero orientale. Aveva i
capelli lunghi e una benda sugli occhi. Tutto vestito di nero. Nebbia
e lui avanzava danzando leggero sulle note di Valse
uno, quello di Sostakovich. In mano un bastone e dal soffitto
pendevano diversi vasi di terracotta che l'angelo distruggeva con il
bastone. Dai cocci distrutti
si frantumavano in aria miriadi di particelle di sabbia. L'inizio e
la fine della vita e un percorso a volte leggero, a volte disseminato
di cocci caduti. Poi mi sono rimaste le immagini nel cuore e non
avevo più voglia di immagini o di danzare e improvvise e prepotenti
sono tornate le
parole.
Quando
era morta mia madre, avevo voluto essere io a raccontare di lei, non
un prete che neanche la conosceva e avevo concluso con "Ciao
ma, volevo che il tuo viaggio fosse leggero come il vento di queste
colline che si incrociano fra la montagna e il mare". Era
febbraio c'era la neve. Come tre anni prima quando era morto mio
padre, ma lì
la neve era stata tanta, metri. Non
si potevano seppellire i morti in quei giorni.
Poi improvvisamente il sole e siamo partiti verso quelle
colline romagnole dove ci
sono le tombe di
tutti i parenti da parte di mia madre. I parenti, tantissimi, da
parte di mio padre sono seppelliti in diversi cimiteri della
Romagna,
chi
più vicino alle colline, chi più vicino al mare.
Non
ho mai chiamato i fratelli di mio padre o di mia madre zio o zia. Ma
sempre con il loro nome. Non ho mai chiamato i miei genitori babbo o
mamma, ma sempre e solo con il loro nome e non ho mai capito perchè.
La
seconda immagine che avevo in testa era un palcoscenico interamente
ricoperto di terra rossa, non un palcoscenico, ma uno spazio grande
quanto una prateria mongola. In lontananza, montagne illuminate
al tramonto da quel proiettore che si chiama sole. E qua, prima uno,
poi due, tre fino ad essere tantissimi, uomini che procedevano
lentamente. Tre passi , si inginocchiavano, si sdraiavano per terra ,
si rialzavano, ancora tre passi e via via. Tutto lentissimo,
esasperante, ipnotico affascinante. Le
vesti lunghe di questi pellegrini preganti viandanti, frastornate da
un vento impetuoso. Una
preghiera collettiva, un saluto singolo e collettivo alla vita che
nasce e a quella che va. Poca
fantasia, ma l'unica musica che riuscivo ad immaginare, era quella
che scaturiva dagli strumenti e dalle corde vocali dei musicisti e
dei cantanti mongoli.
Da
quando sono piccolo a volte mi succedere di chiedermi se sono pazzo e
spesso non riesco a capire cosa è reale fra tutti i mondi possibili
che mi annebbiano la mente.
Avevo
sognato, da ragazzino, alcune volte notti
di seguito, lo stesso sogno. Ero in un
borghetto
di collina , le strade lastricate e le case di sasso. E
c'era il padre di mia madre che mi aspettava in cima alla salita. Era
il paese in cui ero nato e in cui mi sarebbe piaciuto tornare. In
realtà il paese dove sono nato , o
comunque dove credevo di essere nato è
totalmente differente. Ma nel sogno era il mio paese, era la casa che
cercavo. Infatti mio nonno, piccolo biondo, occhi azzurri, a
cui non è mai interessato nulla della moglie, dei figli e tantomeno
dei nipoti, mi guardava sorridendo e diceva " questa è la casa
in cui sei nato " . Ricorrente questo sogno e ne avevo parlato a
mia madre – lei sapeva leggere e interpretare i sogni- era rimasta
un pò così e mi aveva risposto " è solamente un sogno".
Per
anni ho cercato questo posto, ho sempre pensato che esistesse davvero
e volevo trovarlo. Sperduto secondo me in qualche vallata delle
colline o delle montagne della Romagna, delle Marche o dell'Umbria.
Sempre per anni, io figlio unico , ho pensato di avere non un
fratello, ma un fratello gemello. E anche lui ho cercato. L'ho
cercato per anni anche se tanti mi dicevano "fantasie di figlio
unico" . Fantasie al punto di stare male. Una volta ho preso il
treno e sono andato a Pesaro, ero convinto che lì
avrei incontrato questo mio fratello, ho girato una intera giornata,
il fratello non l'ho incontrato, però ho visto la città che
non avevo mai visitato.
Una volta sul traghetto per la Sardegna,
ero convinto ci fosse anche lui, sempre il fratello gemello, e ho
girato per tutta notte sperando
che il tipo mi si piazzasse davanti e dicesse "sono io".
Diverse
volte, fin da piccolo, chiedevo in casa " ho un fratello
gemello?" , poi ho smesso di chiedere perchè mi accorgevo
che questa mia domanda creava sofferenza. Un'altra
immagine che avevo in testa era quella di un giovane padre
contadino. Anni 50, vestito della festa, la giacchettina un poco
stretta, sotto una canottiera e i piedi scalzi. Questo giovane padre
teneva in braccio un bimbo appena nato e lo cullava, sempre danzando,
al ritmo di una ninna nanna. Non quella classica
o le variazioni popolari, una ninna nanna dell'est europeo, più
ritmata, più allegra, più lancinante. Una apparizione veloce come
un fantasma che ti compare per strada, ti guarda ti sorride, oppure
fa un pezzo di strada vicino a te senza mai parlare e poi scompare.
L'inverno
se ne è andato, fra poco la primavera, in anticipo rispetto ad anni
fa , poi l'estate che in questi paesi dove ora abito è
insopportabilmente carica di umidità, poi ottobre novembre e ancora
inverno.
Sono
nato in un paesino delle colline romagnole, così almeno ho sempre
creduto, il 28 o il 29 di agosto , forse qualche giorno prima di
tantissimi anni fa. E tutta la mia vita è sempre stata costellata di
episodi quantomeno strani, a volte pericolosi e non sono mai riuscito
a capire perchè. E tante persone hanno seguito gli avvenimenti della
mia vita, correndo in parallelo senza avermi
mai dato
la possibilità di un incontro.
No,
non sono stato adottato.
Sono
nato il 28 o il 29. Ufficialmente mi è sempre stato detto che ero
nato il 28 , ma mi avevano segnato all'anagrafe come nato il 29.
Succedeva tanti anni fa. In
realtà neanche i miei genitori avevano una data precisa, chi mi
diceva che ero nato nella notte di un giorno, chi il
pomeriggio
dell'altra giorno. Una cosa so con certezza: nessuno dei parenti di
mia madre, che pur abitavano a non più di cinquanta metri, è stato
presente alla mia nascita. Mia madre e i suoi parenti erano
legatissimi fra loro e niente succedeva che gli altri non sapessero o
non fossero presenti.
Uno
da fuori, quando pensa alla Romagna pensa al mare, il mare adriatico,
i pedalò, le spiagge affollate, la piadina, gli amori notturni con
le ragazze straniere, i ragazzotti con la esse strascicata a
pagamento per le signore mature. Le famiglie con i tanti bambini e le
ciabattine
ai piedi e i racconti di Tondelli. Eppure a pochi chilometri inizia
la romagna delle colline, colline strane, belle , dolci a volte,
ostiche spesso, poi i boschi e le foreste abbandonate, poi le
montagne
che una volta erano toscana, ma che il duce aveva stabilito fossero
Romagna.
Con
il duce che nasce a Predappio, con Forlì
devastata per farne diventare l'emblema dell'
architettura
e della grandiosità fascista, il Tevere mica poteva nascere in
Toscana. Tevere, terra di Romagna , provincia di Forlì.
La
cosa affascinante della Romagna
è che ogni paesino pensa lui di essere Romagna,
gli altri no. Per cui uno della campagna , delle colline o della
montagna, guarda con disprezzo quelli di altri comuni o del mare,
considerandoli romagnoli un pò imbastarditi e viceversa. C'è
un divertente monologo di un attore che abita dalle parti di
Bagnacavallo e alla fine riesce a sostenere che la Romagna
è praticamente
attorno a casa sua. Figuriamoci , è
provincia di Ravenna.
La
Romagna di cui parlo io, è quella incastonata tra Forlì ,Cesena, la
strada E45
quella che porta a Roma e ai confini con la Toscana
e un'altra strada che da Forlì porta su sempre ai confini con la
toscana, due mondi comunque differenti perchè in mezzo c'è un
crinale di colline – su questo crinale ci sono i percorsi dei
tedeschi in
fuga-.
Da una parte Borello, Casalbono, frazioni del comune di Cesena, poi
Mercato Saraceno, Sarsina, San Piero in bagno, Bagno di Romagna.
Questi i comuni , ma in realtà i paesi che intendo io sono piccoli
borghi o frazioni più all'interno e ai confini stretti con il
crinale di cui dicevo. Dall'altra parte Forlì , Meldola, Predappio,
Civitella di Romagna, Santa Sofia. Che poi qualche paesino di uno
piuttosto che un altro comune , possa essere di qua o di la dal
crinale, non ha importanza. E'
anche successo che dopo la seconda guerra mondiale, sono cambiati
diversi confini e dagli anni '50 una frazione magari veniva passata
da un comune all'altro, cambiavano le strade, le mappature e le
numerazioni. Paesi di confine.
Io
intendo parlare di un triangolo, un triangolo in parte maledetto che
qualcuno aveva anche definito il far west della romagna. Un triangolo
fatto di povertà, contadini al servizio di grandi e piccoli
proprietari terrieri, un terreno fertile, da diventare uno dei
granai del duce, e soprattutto i traffici di diverse miniere di zolfo
e rame.
Non
si usa più prendere la cartina geografica di una zona, google maps è
molto più comodo, poi se devi andare da qualche parte e non sai come
muoverti hai il navigatore. Io l'ho buttato perchè preferisco
fermarmi per strada e chiedere alle persone così magari ci scappano
anche quattro chiacchiere. Però se uno prende una cartina
geografica, quelle che non sai mai come ripiegare, segue la
traiettoria da Cesena, lungo la E45 ed esce a Borello - Borello è un
paesone frazione di Cesena - poco
dopo Borello in direzione Piavola, Linaro, Ranchio c'è una strada
sulla destra.Qua iniziamo a segnare una linea di quel triangolo di
cui parlavo
prima. Si va su , pochi chilometri , grossa pendenza. Prima Casalbono
, diventato
famoso
perchè si diceva che ci passassero gli ufo, poi case Venzi, una
linea praticamente diritta e in cima dove finisce la strada , sulla
sinistra ne comincia un'altra: strada Valdinoce.
Qua siamo già in territorio straniero infatti si passa sotto il
comune di Meldola. Il
paesaggio è spettacolare. Pochissimi alberi, calanchi di bellezza
infinita tagliati con l'accetta da un gigante arrabbiato. Il vento di
queste colline incastonate fra la montagna e il mare, è forte
veloce, fresco e frizzante. A volte sembra che canti. Più avanti
verso le montagne cominceranno poi anche i boschi e le foreste, ma
qua nulla. Mandrie al pascolo, erba medica. In cima un grande
ricevitore non so se per le linee telefoniche o per la televisione.
Dove
finisce questa strada , proprio ad angolo, fra statale Casalbono,
frazione
di Cesena
e strada Valdinoce
, frazione
di
Meldola,una casa enorme, tutta recintata e con le porte e le finestre
chiuse da inferriate che la fanno assomigliare più ad una armeria
che non ad una casa. Dalla parte
di strada Valdinoce, un palo con su issato a mò di bandiera
un cavalluccio a dondolo. La prima volta che ho visto questa casa e
questo cavallo
a dondolo, sono stato male, la testa ha avuto dei giramenti e non
riuscivo a capire più dove fossi. Come se centinaia di persone che
avevano abitato quei luoghi, mi passassero vicino senza vedermi,
tristi come la loro miseria, le loro ferite, poi i partigiani
nascosti, e i tedeschi, massacro dopo massacro, in fuga. E ancora i
partigiani, i fascisti, quelli che si fingevano di volta in volta
partigiani o fascisti per andare a razziare e rubare nelle case. I
minatori. Tutto in pochi attimi di stordimento. Niente di
angosciante, ma leggero e veloce come il vento in quei giorni
fortissimo.
Ritorniamo
indietro sulla nostra cartina dove già abbiamo tracciato una linea e
ne tracciamo un'altra, dal nostro punto di partenza andando su verso
le montagne lungo una strada che si chiama via Linaro. Costeggiamo
sulla destra Borgo delle Rose. Ci
passi dentro una volta con la macchina, più che sufficente. Arrivi a
Piavola quattro case messe in croce, divisa
in due parti. Prima del rigagnolo che va a buttarsi nel torrente
Borella che a sua volte giù nel paese di Borello , va a buttarsi nel
fiume Savio, siamo
ancora comune di Cesena. Dopo il rigagnolo, comune di Mercato
Saraceno. Credo che le case un pò prima della curva che porta a
Piavola e sono asserragliate sulle cime di qualche collina, facciano
parte della frazione di Casalbono. Da
Piavola la linea finale del triangolo , su attraverso le strade
sterrate con pendenza da brivido in mezzo ai campi, arriviamo di
nuovo a case Venzi e poi strada Valdinoce.
Tutto sommato pochi chilometri.
Questo è il triangolo in cui tutto
succede, o
meglio sono
successe, le cose che sto per raccontare.
............. continua
............. continua
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