Quando era morto mio padre, un
mese prima avevo sognato che lo avevo accompagnato in stazione.
Doveva prendere il treno, io portavo la valigia, lui di fianco a me,
con il suo cappottone e il cappello in testa. Ma in treno non l'hanno
fatto salire perchè dicevano era troppo pieno, dovevamo aspettare il
treno successivo. Una settimana fa, dopo gli ultimi esami di mia
madre avevo sognato che eravamo a casa, poi arrivava mio padre, molto
serio. Mia madre si è arrabbiata con lui perchè l'aveva lasciata
sola per tre anni, poi ha iniziato a piegare le lenzuola e a mettere
a posto tutte le cose della loro stanza. Anch'io ho preparare la mia
valigia e mio padre e mia madre si sono arrabbiati con me “non devi
andare” mi dicevano. Io avevo risposto “ dopo tanto tempo, non
pensate che anche io abbia diritto ad andarmene?”. E mia madre
sorridendo aveva risposto “no”. Mio padre è morto durante la
grande nevicata di , esattamente , tre anni fa. Mia madre gli ultimi
giorni continuava a chiedermi “ma quando inizia a nevicare?”,
oppure mi diceva “Enzo per favore lasciami andare, tuo padre mi
aspetta, devo tornare a casa”. Sono stati anni pesanti, chiaramente
più per i miei che non per me. Ma pesanti e ora mi accorgo che mi
sono serviti. A riappacificarmi con loro, ad elaborare un lutto, a
capire che la vita è sempre una cosa bellina che vale la pena di
essere vissuta. Ho capito che nelle cose non si può stabilire un
tempo e che molte volte il tempo non dipende da te. Anni fa nelle
società contadine, almeno da noi in Romagna, quando moriva qualcuno,
era un evento che riguardava tutto il paese, non perchè tutti
partecipavano al funerale, ma perchè tutti si sentivano parte di
questo lutto. Praticamente ci si trasferiva a casa del morto e per
uno o due giorni rimanevano li, come parte integrante di quella
famiglia. Ora non si riesce più ad attendere, sembra che non abbiamo
più tempo per nulla. Anche il morto si deve seppellire in fretta,
qualche pianto, qualche fiore, il dolore che uno si tiene nel cuore e
via. Tre anni fa quando è morto mio padre, causa neve, c'era negli
obitori di Cesena un accatastamento esagerato di bare, dato che per
ordinanze ed impossibilità, non si riusciva a seppellire nessuno. IL
primo giorno utile è iniziato il via vai dei furgoni delle onoranze,
sembrava una catena di montaggio. Quei giorni, io e mia madre, siamo
rimasti lì, lei non si voleva spostare dalla bara. Eravamo
praticamente soli, in una delle tante stanze piene di bare con morti
lasciati lì da soli. Per me questo era stato un tempo necessario per
riappacificarmi con un padre sempre assente che ha iniziato a
considerarmi figlio gli ultimi anni della sua vita. Per mia madre no.
Dopo la sepoltura il crollo totale, le sue tante operazioni ritornate
a galla, i suoi tanti mali, la sua vita difficile. Ero convinto
morisse qualche giorno dopo. Non era ancora il suo tempo. Avevo
sognato che avrebbe dovuto percorrere una lunga agonia di tre anni, e
così è stato, sempre peggio fino agli ultimi giorni. A volte
lucida, a volte persa nei propri fantasmi. In questi tre anni,
alcune piccole e banali scoperte hanno creato alcuni misteri a
proposito della mia nascita. Sono andato un pochino in tilt e
nell'ultimo anno ho cercato di capire e di scoprire, ma ero partito
con il piede sbagliato e avevo continuato in maniera altrettanto
sbagliata e ostinata. Mia madre ha percepito queste cose, più che
percepire facevo proprio delle domande e ad un certo punto ho smesso
perchè stavo aggiungendo dolore ad un dolore che era già troppo.
Dopo ho cercato solo di essere vicino e per lei ero diventato tutto:
suo figlio , suo padre, sua madre, i suoi fratelli. Mi hanno aiutato
la mia continua, comunque, voglia di ridere e di scherzare su tutto,
ma soprattutto la consapevolezza che tanti altri vivono drammi anche
peggiori. Ormai siamo abituati a vivere nelle nostre macchinine,
nelle nostre casine, nei nostri piccoli mondi chiusi e questo non fa
bene. Mi fa piacere pensare che ogni persona appartiene al mondo, non
è una proprietà privata. Mia madre è morta martedì mattina e l'ho
seppellita ieri giovedì. Ero appena partito da Cesena perchè sapevo
che mancavano pochi giorni, dovevo sistemare alcune cose, lasciare
Peter a Marco e poi volevo stare con lei fino al momento della fine.
Mi ha preceduto di due giorni. Quel martedì mattina, alle cinque e
mezzo quando sono uscito con Peter, lui continuava ad ululare,
pensavo stesse male perchè non si è messo a correre, mi camminava
vicino, lentamente, quasi a fatica. Ogni tanto si bloccava perso a
guardare il vuoto. Poi la telefonata e la corsa in autostrada. Aldilà
delle cose pratiche che bisogna comunque fare, ho cercato di stare
li, con mia madre, il più tempo possibile. Mi serviva questo tempo.
Non eravamo in uno stanzone da obitorio, ma in una stanza
dell'istituto con un tavolino in cui avevo appoggiato i fiori, quasi
fosse un tavolo di casa, di fianco il bagno e una cappella che mi è
servita dato che ogni tanto ci andavo a sedere per riscaldarmi. Nel
corridoio la macchinetta del caffè, vicino un cortile per fumare.
Non avevo bisogno di altro. Avevo pensato che quando mia madre moriva
, le avrei preso una ciocca di capelli per quella cosa chiamata esame
del dna. Poi mi sono ricordato di una cosa che ho sempre saputo : che
una famiglia non è tale per vincoli legali o per propaganda da
estremismi politici e religiosi, una famiglia è tale perchè c'è un
insieme di persone che si vogliono bene. E che ad un bimbo appena
nato, non interessano cellule o questioni genetiche , ma qualcuno che
lo possa tenere in braccio e volergli bene. Mia madre, quando mi
hanno appoggiato a lei, dopo un iniziale rifiuto, mi ha sentito
piangere, mi ha preso in braccio e mi ha detto “ sei tu mio
figlio”. Poi che per un anno mi abbia fatto dormire sempre sdraiato
sulla sua pancia, poi che per tutta la vita si sia rifiutata, anche
in maniera sbagliata, di tagliare il cordone ombelicale, questa è
un'altra questione. “tu sei mio figlio” e tutto il resto non
ricordo, ma è giusto così. E non ho tagliato nessuna ciocca di
capelli. Un padre e una madre li ho avuti, per un certo periodo mi
hanno accompagnato loro, poi li ho accompagnati io. Sono loro la mia
eredità e le mie radici. Poi qualcos'altro dovesse succedere, non
sarò più io a cercare, ma lo vivrò come un regalo. Niente di più
e niente di meno. In questi tre giorni ho voluto creare attorno a mia
madre un clima di serenità. Ho una strana concezione della morte,
non sono credente, ma credo che un viaggio comunque ci sia. Quale e
come non lo so. Ma una viaggio si e ho sempre pensato che una persona
che muore ne ha già abbastanza di suo, di bagaglio pesante da
portarsi dietro, e che una volta morto bisogna avere il coraggio di
lasciarlo partire senza fare pesare a lui il nostro dolore e i nostri
pianti. Mia madre mi diceva “quando muoio non mi interessano fiori
o offerte o un libro in cui lasciare il proprio pensiero, spesso solo
frasi di circostanza, voglio la gente, amo stare con la gente, voglio
un sorriso, voglio una carezza”. La gente c'è stata tanta, la
stanza, la cappella e il corridoio erano pieni. Ho cercato di fare il
padrone di casa, ho cercato di fare sentire tutti a casa e mi faceva
piacere parlassero di tutte le loro cose, come appunto in una casa.
Sono crollato solo quando un cugino, un omone altissimo con
problemi al cuore, molto affezionato a mia madre, ha iniziato a
tremare e a piangere, poi si è seduto assente, come un bambino.
Esattamente come tanti anni fa, quando era un bambino ed era morto
suo padre, il fratello di mia madre. In tutte le grandi famiglie, nel
corso degli anni si creano o si possono creare dei problemi, a volte
insormontabili. E' successo così anche con le famiglie da parte di
mio padre e di mia madre. In questi giorni ho cercato di ricucire dei
rapporti e ci sono riuscito. E lì con gli amici, i parenti, i
conoscenti, ho sentito vivo e vibrante il mio concetto di famiglia.
Tanti. E poi via su per le colline verso la chiesa e il cimitero di
quel paese che mia madre ha sempre sentito e vissuto come il suo
paese. Avevo chiesto al prete, un giovane africano con cui siamo
entrati subito in sintonia, di essere io a fare il saluto di addio a
mia madre. Non ho parlato di lei, non volevo parlare di lei. Quando
qualcuno muore è comunque bravo, bello, dolce, gentile, grande
lavoratore. Balle, mai che ci si ricordi che uno è stato anche una
persona reale. Volevo parlare della generazione di mia madre, una
generazione di uomini e donne, bambini durante la guerra e giovani
donne e uomini dopo, che senza dimenticare la voglia di vivere, si sono rimboccati le maniche, hanno patito la miseria, ma hanno ricostruito
quel mondo che sembrava bellissimo e che noi, i figli di quella
generazione , abbiamo contribuito a distruggere. Ho voluto parlare di
quel pezzetto di terra di Romagna che in realtà ho conosciuto solo da un anno,
di quelle strade da paura su in cima a colline senza alberi che
sembra siano state tagliate con una accetta da un gigante incazzato.
Ho voluto parlare delle donne di questo piccolo fazzoletto di terra e
di come, pur anche fra tante litigate, ogni problema o ogni evento
non era una questione personale, ma diventava gioia, o dolore o
problema di tutti. C'è un episodio che mi ha sempre colpito. C'era
un giovanotto che era stato dato per disperso in guerra, ma la moglie
non si arrendeva, il paese non si arrendeva. Poi un giorno, un giorno
di festa perchè erano tutti a messa , arriva qualcuno che urla
qualcosa. Tutte le persone sono uscite dalla chiesa con in testa la
moglie di questo uomo, correndo giù per la stradina ripida. Nel
frattempo, questo uomo che era riuscito a ritornare ,stava risalendo
dal paese vicino, cinque chilometri , alla fine della discesa. Man
mano saliva, le persone uscivano dalle case, lo applaudivano e gli si
accodavano dietro. A metà percorso i due cortei si sono incontrati e
tutti hanno iniziato a ridere, a piangere, ad abbracciarsi. Non ho
malinconie per il passato, il passato è stato miseria, il passato è
stato una cosa dura, ma non amo chi , oggi, si chiude nel proprio
giardino e pensa che il suo orizzonte limitato sia la realtà del
mondo. Mi sarebbe piaciuto che il giovanotto , che in chiesa suonava
e cantava durante la mesa per mia madre, avesse suonato una ninna
nanna, volevo che la bara di mia madre, uscendo, fosse accompagnata
dal suono di una ninna nanna. Quella ninna nanna che mia madre, la
sua generazione e i figli di quella generazione non hanno mai potuto
avere perchè la miseria era tanta e c'era da lavorare. Ma il
giovanotto non sapeva suonare senza uno spartito, allora ho dedicato
questa ninna nanna metaforica a mia madre, a mio padre, ai miei
parenti, quelli vivi , quelli morti, a quelli che avrei voluto
conoscere, ma non ho mai avuto la possibilità di conoscere, ma
soprattutto agli uomini e alle donne di quel piccolo pezzetto di
terra di Romagna in cui in questo ultimo anno anche io mi sono sentito a casa.
Poi dopo baci e abbracci, molti mi facevano i complimenti, no non
volevo i complimenti, volevo raccontare solo quello che avevo nel
cuore. Molti mi hanno detto che sono una persona speciale, no non
sono una persona speciale, sono un cretino come tanti. E sorridevo. Mi era venuta in mente una frase che una volta quando ero ragazzo,
mia madre mi aveva detto arrabbiata : “ se tu fossi stato un po'
più bello e meno intelligente, forse avresti vissuto meglio. Peccato
non sei neanche troppo intelligente”. E lì era finita la sfuriata
e abbiamo iniziato a ridere come due idioti. In questi mesi, tanti
amici o persone che conosco, hanno perso persone care, a loro un
abbraccio e un sorriso. Ciao ma, volevo che il tuo viaggio fosse
leggero come il vento delle tue colline che si incrociano fra la
montagna e il mare, forse non ci sono riuscito, ma ci ho provato