venerdì 6 febbraio 2015

ciao ma, volevo che il tuo viaggio fosse leggero

Quando era morto mio padre, un mese prima avevo sognato che lo avevo accompagnato in stazione. Doveva prendere il treno, io portavo la valigia, lui di fianco a me, con il suo cappottone e il cappello in testa. Ma in treno non l'hanno fatto salire perchè dicevano era troppo pieno, dovevamo aspettare il treno successivo. Una settimana fa, dopo gli ultimi esami di mia madre avevo sognato che eravamo a casa, poi arrivava mio padre, molto serio. Mia madre si è arrabbiata con lui perchè l'aveva lasciata sola per tre anni, poi ha iniziato a piegare le lenzuola e a mettere a posto tutte le cose della loro stanza. Anch'io ho preparare la mia valigia e mio padre e mia madre si sono arrabbiati con me “non devi andare” mi dicevano. Io avevo risposto “ dopo tanto tempo, non pensate che anche io abbia diritto ad andarmene?”. E mia madre sorridendo aveva risposto “no”. Mio padre è morto durante la grande nevicata di , esattamente , tre anni fa. Mia madre gli ultimi giorni continuava a chiedermi “ma quando inizia a nevicare?”, oppure mi diceva “Enzo per favore lasciami andare, tuo padre mi aspetta, devo tornare a casa”. Sono stati anni pesanti, chiaramente più per i miei che non per me. Ma pesanti e ora mi accorgo che mi sono serviti. A riappacificarmi con loro, ad elaborare un lutto, a capire che la vita è sempre una cosa bellina che vale la pena di essere vissuta. Ho capito che nelle cose non si può stabilire un tempo e che molte volte il tempo non dipende da te. Anni fa nelle società contadine, almeno da noi in Romagna, quando moriva qualcuno, era un evento che riguardava tutto il paese, non perchè tutti partecipavano al funerale, ma perchè tutti si sentivano parte di questo lutto. Praticamente ci si trasferiva a casa del morto e per uno o due giorni rimanevano li, come parte integrante di quella famiglia. Ora non si riesce più ad attendere, sembra che non abbiamo più tempo per nulla. Anche il morto si deve seppellire in fretta, qualche pianto, qualche fiore, il dolore che uno si tiene nel cuore e via. Tre anni fa quando è morto mio padre, causa neve, c'era negli obitori di Cesena un accatastamento esagerato di bare, dato che per ordinanze ed impossibilità, non si riusciva a seppellire nessuno. IL primo giorno utile è iniziato il via vai dei furgoni delle onoranze, sembrava una catena di montaggio. Quei giorni, io e mia madre, siamo rimasti lì, lei non si voleva spostare dalla bara. Eravamo praticamente soli, in una delle tante stanze piene di bare con morti lasciati lì da soli. Per me questo era stato un tempo necessario per riappacificarmi con un padre sempre assente che ha iniziato a considerarmi figlio gli ultimi anni della sua vita. Per mia madre no. Dopo la sepoltura il crollo totale, le sue tante operazioni ritornate a galla, i suoi tanti mali, la sua vita difficile. Ero convinto morisse qualche giorno dopo. Non era ancora il suo tempo. Avevo sognato che avrebbe dovuto percorrere una lunga agonia di tre anni, e così è stato, sempre peggio fino agli ultimi giorni. A volte lucida, a volte persa nei propri fantasmi. In questi tre anni, alcune piccole e banali scoperte hanno creato alcuni misteri a proposito della mia nascita. Sono andato un pochino in tilt e nell'ultimo anno ho cercato di capire e di scoprire, ma ero partito con il piede sbagliato e avevo continuato in maniera altrettanto sbagliata e ostinata. Mia madre ha percepito queste cose, più che percepire facevo proprio delle domande e ad un certo punto ho smesso perchè stavo aggiungendo dolore ad un dolore che era già troppo. Dopo ho cercato solo di essere vicino e per lei ero diventato tutto: suo figlio , suo padre, sua madre, i suoi fratelli. Mi hanno aiutato la mia continua, comunque, voglia di ridere e di scherzare su tutto, ma soprattutto la consapevolezza che tanti altri vivono drammi anche peggiori. Ormai siamo abituati a vivere nelle nostre macchinine, nelle nostre casine, nei nostri piccoli mondi chiusi e questo non fa bene. Mi fa piacere pensare che ogni persona appartiene al mondo, non è una proprietà privata. Mia madre è morta martedì mattina e l'ho seppellita ieri giovedì. Ero appena partito da Cesena perchè sapevo che mancavano pochi giorni, dovevo sistemare alcune cose, lasciare Peter a Marco e poi volevo stare con lei fino al momento della fine. Mi ha preceduto di due giorni. Quel martedì mattina, alle cinque e mezzo quando sono uscito con Peter, lui continuava ad ululare, pensavo stesse male perchè non si è messo a correre, mi camminava vicino, lentamente, quasi a fatica. Ogni tanto si bloccava perso a guardare il vuoto. Poi la telefonata e la corsa in autostrada. Aldilà delle cose pratiche che bisogna comunque fare, ho cercato di stare li, con mia madre, il più tempo possibile. Mi serviva questo tempo. Non eravamo in uno stanzone da obitorio, ma in una stanza dell'istituto con un tavolino in cui avevo appoggiato i fiori, quasi fosse un tavolo di casa, di fianco il bagno e una cappella che mi è servita dato che ogni tanto ci andavo a sedere per riscaldarmi. Nel corridoio la macchinetta del caffè, vicino un cortile per fumare. Non avevo bisogno di altro. Avevo pensato che quando mia madre moriva , le avrei preso una ciocca di capelli per quella cosa chiamata esame del dna. Poi mi sono ricordato di una cosa che ho sempre saputo : che una famiglia non è tale per vincoli legali o per propaganda da estremismi politici e religiosi, una famiglia è tale perchè c'è un insieme di persone che si vogliono bene. E che ad un bimbo appena nato, non interessano cellule o questioni genetiche , ma qualcuno che lo possa tenere in braccio e volergli bene. Mia madre, quando mi hanno appoggiato a lei, dopo un iniziale rifiuto, mi ha sentito piangere, mi ha preso in braccio e mi ha detto “ sei tu mio figlio”. Poi che per un anno mi abbia fatto dormire sempre sdraiato sulla sua pancia, poi che per tutta la vita si sia rifiutata, anche in maniera sbagliata, di tagliare il cordone ombelicale, questa è un'altra questione. “tu sei mio figlio” e tutto il resto non ricordo, ma è giusto così. E non ho tagliato nessuna ciocca di capelli. Un padre e una madre li ho avuti, per un certo periodo mi hanno accompagnato loro, poi li ho accompagnati io. Sono loro la mia eredità e le mie radici. Poi qualcos'altro dovesse succedere, non sarò più io a cercare, ma lo vivrò come un regalo. Niente di più e niente di meno. In questi tre giorni ho voluto creare attorno a mia madre un clima di serenità. Ho una strana concezione della morte, non sono credente, ma credo che un viaggio comunque ci sia. Quale e come non lo so. Ma una viaggio si e ho sempre pensato che una persona che muore ne ha già abbastanza di suo, di bagaglio pesante da portarsi dietro, e che una volta morto bisogna avere il coraggio di lasciarlo partire senza fare pesare a lui il nostro dolore e i nostri pianti. Mia madre mi diceva “quando muoio non mi interessano fiori o offerte o un libro in cui lasciare il proprio pensiero, spesso solo frasi di circostanza, voglio la gente, amo stare con la gente, voglio un sorriso, voglio una carezza”. La gente c'è stata tanta, la stanza, la cappella e il corridoio erano pieni. Ho cercato di fare il padrone di casa, ho cercato di fare sentire tutti a casa e mi faceva piacere parlassero di tutte le loro cose, come appunto in una casa. Sono crollato solo quando un cugino, un omone altissimo con problemi al cuore, molto affezionato a mia madre, ha iniziato a tremare e a piangere, poi si è seduto assente, come un bambino. Esattamente come tanti anni fa, quando era un bambino ed era morto suo padre, il fratello di mia madre. In tutte le grandi famiglie, nel corso degli anni si creano o si possono creare dei problemi, a volte insormontabili. E' successo così anche con le famiglie da parte di mio padre e di mia madre. In questi giorni ho cercato di ricucire dei rapporti e ci sono riuscito. E lì con gli amici, i parenti, i conoscenti, ho sentito vivo e vibrante il mio concetto di famiglia. Tanti. E poi via su per le colline verso la chiesa e il cimitero di quel paese che mia madre ha sempre sentito e vissuto come il suo paese. Avevo chiesto al prete, un giovane africano con cui siamo entrati subito in sintonia, di essere io a fare il saluto di addio a mia madre. Non ho parlato di lei, non volevo parlare di lei. Quando qualcuno muore è comunque bravo, bello, dolce, gentile, grande lavoratore. Balle, mai che ci si ricordi che uno è stato anche una persona reale. Volevo parlare della generazione di mia madre, una generazione di uomini e donne, bambini durante la guerra e giovani donne e uomini dopo, che senza dimenticare la voglia di vivere, si sono rimboccati le maniche, hanno patito la miseria, ma hanno ricostruito quel mondo che sembrava bellissimo e che noi, i figli di quella generazione , abbiamo contribuito a distruggere. Ho voluto parlare di quel pezzetto di terra di Romagna che in realtà ho conosciuto solo da un anno, di quelle strade da paura su in cima a colline senza alberi che sembra siano state tagliate con una accetta da un gigante incazzato. Ho voluto parlare delle donne di questo piccolo fazzoletto di terra e di come, pur anche fra tante litigate, ogni problema o ogni evento non era una questione personale, ma diventava gioia, o dolore o problema di tutti. C'è un episodio che mi ha sempre colpito. C'era un giovanotto che era stato dato per disperso in guerra, ma la moglie non si arrendeva, il paese non si arrendeva. Poi un giorno, un giorno di festa perchè erano tutti a messa , arriva qualcuno che urla qualcosa. Tutte le persone sono uscite dalla chiesa con in testa la moglie di questo uomo, correndo giù per la stradina ripida. Nel frattempo, questo uomo che era riuscito a ritornare ,stava risalendo dal paese vicino, cinque chilometri , alla fine della discesa. Man mano saliva, le persone uscivano dalle case, lo applaudivano e gli si accodavano dietro. A metà percorso i due cortei si sono incontrati e tutti hanno iniziato a ridere, a piangere, ad abbracciarsi. Non ho malinconie per il passato, il passato è stato miseria, il passato è stato una cosa dura, ma non amo chi , oggi, si chiude nel proprio giardino e pensa che il suo orizzonte limitato sia la realtà del mondo. Mi sarebbe piaciuto che il giovanotto , che in chiesa suonava e cantava durante la mesa per mia madre, avesse suonato una ninna nanna, volevo che la bara di mia madre, uscendo, fosse accompagnata dal suono di una ninna nanna. Quella ninna nanna che mia madre, la sua generazione e i figli di quella generazione non hanno mai potuto avere perchè la miseria era tanta e c'era da lavorare. Ma il giovanotto non sapeva suonare senza uno spartito, allora ho dedicato questa ninna nanna metaforica a mia madre, a mio padre, ai miei parenti, quelli vivi , quelli morti, a quelli che avrei voluto conoscere, ma non ho mai avuto la possibilità di conoscere, ma soprattutto agli uomini e alle donne di quel piccolo pezzetto di terra di Romagna  in cui in questo ultimo anno anche io mi sono sentito a casa. Poi dopo baci e abbracci, molti mi facevano i complimenti, no non volevo i complimenti, volevo raccontare solo quello che avevo nel cuore. Molti mi hanno detto che sono una persona speciale, no non sono una persona speciale, sono un cretino come tanti. E sorridevo. Mi era venuta in mente una frase che una volta quando ero ragazzo, mia madre mi aveva detto arrabbiata : “ se tu fossi stato un po' più bello e meno intelligente, forse avresti vissuto meglio. Peccato non sei neanche troppo intelligente”. E lì era finita la sfuriata e abbiamo iniziato a ridere come due idioti. In questi mesi, tanti amici o persone che conosco, hanno perso persone care, a loro un abbraccio e un sorriso. Ciao ma, volevo che il tuo viaggio fosse leggero come il vento delle tue colline che si incrociano fra la montagna e il mare, forse non ci sono riuscito, ma ci ho provato