mercoledì 29 giugno 2016

L'aria veloce del nord - ultima parte

Dicevo tre puntate fa, qua ho riportato la riduzione teatrale di un racconto un pochino più ampio. sabato 2 luglio ad Ostiano, interprete Marco Zappalaglio, presenteremo il primo studio per uno spettacolo che realizzeremo nel prossimo inverno. Dopo questa fase a puntate, riprenderò il blog con il mio sciocchezzaio quotidiano per raccontare la vita che scorre

L'aria veloce del nord - 
 
Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico

Ho conosciuto diversi reali viaggiatori, non giornalisti che vanno, risedono in un albergo di lusso e di lì commentano il mondo, gente che vive il viaggio come avventura, bisogno e conoscenza e appacificazione delle proprie inquietudini.

Un viaggio è anche la non voglia di chiudersi in casa, anche una vacanza è comunque un viaggio. Nei giorni di sole o di ferie o d'estate, le grandi strade che portano al mare, ai laghi o in montagna sono piene, a volte code mostruose. Magari cinque e passa ore di macchina per andare a sdraiarsi o a mangiare da qualche parte e di nuvo ancora cinque ore e passa per il ritorno. I luoghi del cuore sono quelli che tu vedi e dici "qua potrei abitarci", sono dei paesaggi, sono le persone che li abitano. Ma sono anche quelli visitati lo spazio di un attimo in cui qualcosa - può essere il volo di un uccello, un monumento, un fiore, un albero, un sorriso , una cascata- ti cattura l'anima.


Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico

L'america, la beat generation, il cinema. Il mito americano. Conosco tante persone che sono state diverse volte in America, intendo U.S.A. , ritornano e sanno tutto. Eppure , forse neanche gli americani la conoscono fino in fondo. Tanti stati, tutto enorme, tante culture diverse che a volte si incrociano a volte no. Il mito dell'america, però è indubbio che noi, vecchio continente , ci sentiamo un pochino superiori. Io non conosco l'America e non ho mai avuto il mito dell'america. U.S.A. per intendenderci. Del grand Canyon, della valle della morte del coast to coast, Miami, New York, preferisco dalle cascate del Niagara in su o giù dopo San Francisco verso l'America Latina. Comunque mi è capitata una occasione e dico, parto, vado a san Francisco. Il viaggio di andata, mi sono trovato intrappolato in mezzo ad un russo enorme che continuava a ridere, a cercare di parlare con me e a mangiare cioccolatini. Dall'altra parte una signora altrettanto grossa che aveva paura. Spiaccicato in mezzo a loro, senza possibilità di movimento. Sceso dall'aereo non riuscivo a capire dove dovevo andare per le valige neanche dove era l'uscita, fortuna l'aereoporto è pieno di persone latino-americane , ci siamo capiti e mi hanno dato una mano ad uscire dal labirinto. Ho alloggiato, non a San Francisco, ma in una cittadina, molto middle class e sempre sul
golfo. 

Le case belle con il prato bellino. Come nei film. Forse era un pochino più che middle class. Per strada donne e uomini molto belli, magri sempre eleganti, anche nella tenuta da corsa mattutina con classico bicchierone di caffè in mano. E sempre dappertutto un fortissimo profumo di spezie usate per i dolci. Per fortuna o purtroppo ero ospite di amici che mi ritenevano troppo piccolino per la grande città e dovevo essere protetto. Sono stati splendidi e abbiamo girato tanto, però a volte mi mancava l'aria, anche perchè per entrare in quel complesso in cui abitavano c'era una sbarra con tanto di guardia armata, mentre dietro erano protetti da una intera foresta di alloro dall'odore fortissimo pungente narcotizzante. E ogni volta che mi dicevo faccio quattro passi da solo, o finivo all'interno della foresta o andavo a sbattere contro la faccia della guardia. Fortuna giù sotto la collinetta un ristorante messicano che assomigliava ad una delle nostre vecchie osterie e un panettiere con dolci dal profumo pungente. Non ho visto molto di San Francisco perchè abitando lì, i miei ospiti davano per scontate e noioso certe cose e preferivano mostrarmi altro. La cittadina estensione di San Francisco era Sausalito e le due ore mattutine che i miei ospiti dedicavano al nuoto e alla corsa, io le dedicavo a camminare all'interno di queste strade così perfette da sembrare finte. Poi in macchina attraverso il golden gate o gli altri ponti o anche in battello. E' un'altra natura un altro paesaggio. Ho visto le strade su e giù, il municipio, una biblioteca fantastica ed esagerata, il teatro. Un giorno ero appena uscito dalla biblioteca e due poliziotti avevano fermato un ragazzo nero. Con brutalità l'avevano sbattuto contro la macchina, gambe larghe, perquisizione, manette. Esattamente come nei film. Pochi secondi e tanta brutalità mi avevano scosso. Volevo fermarmi a Castro, uno va a san Francisco , non va a bere qualcosa in un bar di Castro? No, i miei amici erano convinti che avrei accalappiato qualcuno e sarei scomparso, Però ho visto dall'esterno le ville di tanti divi cinematografici e alcune ville di proprietà dei parenti dei miei ospiti, noleggiate spesso come set cinematografico. Quello che vedevo , compresa un'isola giapponese con tanto di cerimonia del thè, era una san Francisco bella, pulita o folkloristica, comunque da film. Poi abbiamo iniziato ad inoltrarci lungo diversi parchi nazionali. Una bella sorpresa, paghi il biglietto, tutto perfetto, tutto pulito. Andando giù verso la baya di Monterey
c'era un parco usato perloppiù per le camminate o corse da americano tipico giovane e benestante. Solo che questo parco era abitato da coyotes e ogni tanto qualcuno rincorreva atleti solitari per addentargli le chiappe. Sotto il golden Gate avevo già visto le foche o leoni marini non so cosa fossero, invece i coyotes non sono riuscito a vederli. Sempre andando giù verso la baia di Monterey , non so esattamente dove siamo arrivati, un posto di tale bellezza da stordirti. Anche qua, lasciata la macchina al parcheggio, si pagava un biglietto di entrata e sono finito in una spiaggia di sabbia e scogli sull'oceano. Era fine agosto, la temperatura era mite, quasi fredda e mi sono ritrovato in quell'america assoluta che desideravo conoscere – dicevo scendendo lungo la costa, ad un certo punto ci siamo fermati ad un bar. Non avevo fame non avevo sete, non sono entrato. C'era un'altra macchina parcheggiata e di fianco alcuni surfisti, esattamente come quelli da stereotipo. Belli, petto nudo, capelli incollati dalla salsedine, non pulitissimi, sorriso da trecento denti bianchissimi. Hanno visto che fumavo, mi hanno chiesto una sigaretta, ci siamo messi a parlare e mi sono seduto di fianco al macchinone, con loro. In quel momento sono usciti i miei amici e mi hanno prelevato e caricato in macchina. Un giorno dovevano andare a Berkeley. Berkeley, quella dell'univrsità, proprio quella? si. Strade polverose, sporcizia trascinata dal vento, delusione immensa, però poi la grande sorpresa. Siamo entrati in un capannone, uno studio per scenografia per video e film. C'erano i plastici e i modellini di tante scene di film o video che avevo visto, compresi alcuni video di Micael Jackson. Il proprietario e direttore un omone olandese altissimo. Tutti gentilissimi, tutti a spiegarmi chi cosa. Fuori caldo, vento e una città diversa da come l'avevo sempre immaginata. Molte case a San Francisco non hanno la struttura in cemento armato, ma in legno per meglio supportare i terremoti e per essere meglio demolite quando diventano troppo vecchie. Tante volte mi è successo di sentire diverse scosse di terremoto, qua in Italia intendo, cosine piccole tuttosommato. Ma una vera scossa , in realtà tante, mi hanno detto pochi minuti, per me una eternità, le ho sentite una notte, così forti da farmi cadere dal letto. Come se un gigante avesse alzato la casa e poi l'avesse ributtata al suo posto. Ripetutamente. Scosse talmente forti che l'avevano detto anche nei notiziari qua in italia. Quando c'è la paura, non sono uomo del dubbio, fuggo. Infatti la mattina dopo, sarei dovuto rimanere ancora tre giorni, ho salutato i miei amici che continuavano a non capire e sono andato in aereoporto. Ho aspettato che si liberasse un posto in un qualche aereo, ho pagato la penale per il cambio prenotazione e dopo diverse ore un posto libero siamo riusciti a trovarlo.

Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico

Salonicco è una città che non ho amato. Tante concause per cui per la prima volta, credo anche l'unica, mi sono comportato come da stereotipo di italiano lamentoso che non gli va bene nulla e non vede l'ora di tornare a casa. Eppure Salonicco, vecchia Tessalonica, ha una storia importante alle spalle, diverse culture e diversi popoli che si incrociano. Monumenti maestosi come le basiliche ortodosse, le vecchie mura e la torre bianca. E da italiano noioso continuavo a fare paragoni con le nostre città. Il viaggio di andata era stato terribile, per me che un pochino di mal d'aereo ce l'ho sempre, così come il mal di mare quando devo prendere un traghetto. Quel giorno causa forti perturbazioni, non riuscivo più a capire se ero su di un aereo o su di una nave. Atterraggio decisamente brusco e da paura così come mi era successo qualche tempo prima a Reggio Calabria. Scendo dall'aereo di malumore , poi il taxista continuava a ripetere "italiani stessa faccia stessa razza" , poi l'albergo un palazzone a ridosso di vicoli stretti, maleodoranti , talmente stretti da non fare filtrare il sole. Le sere non ancora estive, erano già calde e tantissima gente in giro. Io cammino e mi perdo a guardare, qua no, ognuno ha il proprio percorso e non si sposta, per cui spesso mi è successo di essere spintonato o sgomitato da qualcuno. I miei amici, grandi frequentatori delle isole greche mi hanno sempre decantato meraviglie, io era la prima volta che andavo in Grecia, ero partito pensando che mi sarebbe piaciuto ballare il sirtaki sulla spiaggia , ma non ho trovato Anthony Quinn.


Sono stato diverse volte in Slovenia. Fai file interminabili nei dintorni di Venezia che c'è sempre intasamento, arrivi a Trieste e finalmente il confine. Da Trieste in poi hai attraversato zone belle, ma trasandate, mercificate, cappannoni e oltre il confine, improvvisamente, tutto diverso. Tutto più selvatico, tutto più verde, tutto più curato, anche i fiumi con colori diversi.
Lubiana ti strappa il cuore per la bellezza che lì sembra di casa. Non erano molti anni che la Jugoslavia si era sciolta ed erano finite le guerre e i bombardamenti. Non erano neanche troppi anni, ancora ai tempi di Tito che da noi ogni tanto si prendeva "radio capodistria". Lubiana con le case barocche o art nouveau, le strade grandi, pulite. Il fiume e ponti che avevano bombardato: Ora non so, ma allora non c'era ricchezza, non c'era nulla di ostentato. Tutto con grande dignità. I camerieri al bar, il mercatino con gli oggetti più astrusi. Le vecchiette sedute di fianco ad un ponte per vendere improbabili mazzetti di fiori. Non c'è ostilità , non c'è amicizia. In giro si vedeva perloppiù gente giovane, sui pattini a rotelle, in bicicletta, a piedi, belli,sorridenti, mai rumorosi. Per me rimane una città misteriosa, una bella donna che non riesci ad avvicinare. Ti affascina e ti mette soggezzione. Anche i rapporti di lavoro, cordiali rapporti di lavoro. Stop. Che tu sia italiano, simpatico, antipatico, cordiali rapporti di lavoro, stop. Spesso pranzavamo in un ristorantino di pesce fritto con le finestre quasi a livello del fiume. Di Lubiana, di tutta la grande bellezza della città e delle persone mi è rimasta nel cuore l'immagine di queste vecchiette. Povere, ma non chiedevano la carità. Cercavano di vendere dei mazzettini di fiori ripescati magari in un cassonetto di qualche negozio. Due volte sono stato a Lubiana e due volte le stesse belle impressioni. Due volte anche a Bovec, a nord ovest, quasi ai confini con l'italia. Un paesone turistico con tanti sport diffusi fra cui d'estate il rafting. La prima volta in un albergo anonimo, un pò da lusso. Per turisti occidentali. Di fianco ad una strada con ristoranti che spendevi quanto da noi due capuccini e due brioches. La seconda volta ho alloggiato in un alberghetto per turismo interno. Si diverso. Di fianco scorreva l'Isonzo, gelido, pulitissimo. C'erano le persone a prendere il sole e facevano il bagno. L'acqua era gelida, per me è stato impossibile bagnarmi oltre i piedi. Poi la fortezza di Kluze e i vari sentieri della prima guerra mondiale. Su in cima alla fortezza di Kluze, aria fredda e vento impetuoso, mi sembrava di essere io quel vento e quella natura dai colori fortissimi, quelle rapide impressionanti e per la prima volta mi sono sentito una piccola parte del mondo. Per un attimo non pensi alle guerre non troppo lontane, non pensi ai sentieri ora chiamati della pace, per un attimo i tuoi pensieri sono trascinati dal vento e vedi e senti solo la bellezza. Al ritorno mi sono sempre fermato in un supermercato, su in montagna e abituato al nostro surplus, rimanevo sbigotto, non c'era praticamente nulla, solo il minimo essenziale. E la gente riusciva a vivere con questo minimo essenziale.
Quando una persona invecchia, spesso inizia ad avere visioni di mondi lontani e spesso non sta bene nel proprio corpo e vorrebbe tornare a casa. Forse non è una questione di vecchiaia, forse quel bisogno di mondi lontanissimi e di andare a casa ce l'abbiamo , fin dalla nascita, nel nostro sangue , nel dna. Poi, probabilmente a livello culturale , abbiamo imparato a canalizzare le nostre inquietudini. Non volevo raccontare di viaggi, neanche dei posti del cuore, ne avrei tanti altri già visitati e ancora da visitare e da vivere. E poi tanti i reali viaggiatori alla scoperta delle tante anime. Volevo raccontare di piccole sensazioni e lo stupore verso cose o persone sconosciute. Una volta un signore , uno che non si è mai spostato dal proprio paese e che giudica stranieri tutti quelli che abitano fuori dal proprio cortile, mi ha confidato che gli mancavano la mie esperienze di viaggio. Una signora, sua amica, l'ha zittito "perchè non stai bene qua?" dipende dai punti di vista.
Io volevo volevo raccontare l'aria e le nuvole che scorrono veloci oltre i nostri orizzonti. Volevo raccontare quell'aria che a volte disperde, a volte riunifica, a volte raccoglie i pensieri e volevo raccontare il profumo e la solitudine degli sguardi e dei sorrisi . L'aria del nord, quella fresca, a volte gelida che scorre veloce e ti fa respirare il cuore

L'aria veloce del nord  - fine

giovedì 23 giugno 2016

l'aria veloce del nord - terza parte


Appena esce un pò di sole nelle città del nord, la gente si spoglia e si sdraia da qualche parte a prendere il sole. Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico



Quando sono arrivato a Stoccolma non c'era il sole, da noi era già primavera. Lì era appena terminato il disgelo. Gli alberi ancora spogli, l'erba bruciata dal ghiaccio e dalla neve. Ero in periferia, vicino ad una zona universitaria. Tutta una zona costruita negli anni 50/60, ben tenuta , un quartiere da modernariato. E anche i mobili , precursori di quelle linee sobrie, appunto svedesi. Nei giorni successivi sempre il sole e giardinetti e parchi erano pieni di persone con la faccia a prendere un pò di calore. Stoccolma si gira, è bella, l'aria è frizzantina, la parte antica sa di muffa e appunto antico. Sembra che niente sappia di trasgressione. Le notti sono fredde, non riesco ad immaginare cosa sia l'inverno. Sembra che tutto funzioni alla perfezione, forse è così. Non mi ha dato l'impressione di clinica asettica così come era stato per Vienna. Al nord cenano presto ed è difficle trovare qualcosa di aperto dopo le 21. Ho usato molto la metropolitana, poche volte il taxi, conducenti solo e unicamente stranieri, quasi sempre a piedi. Stoccolma va girata perchè un pizzico di follia te la ritrovi sempre. Come le barche dei Wikinghi e poi il fatto che si divida su quattordici isole, vuol dire attraversare innumerevoli volte innumerevoli ponti. Un giorno sono capitati in una zona ancora più periferia e c'era un bazar enorme, niente a che vedere con i bei negozi svedesi o i ristorantini con le ampie finestre sulla strada e le candele accese. Era il bazar più incasinato e messo male che abbia mai visto. Tantissime persone dentro, nessun turista. Ho trovato un omino di legno, alto 40 centimetri, con gilet rosso e baffi grandi. Un giocatore di Hokey. Me l'hanno dato per dieci euro. Erano due gli omini, il giorno dopo sono ritornato per prendere anche l'altro, ma non ho più trovato il negozio. Per anni mi sono sempre portato dietro questo omino e qualsiasi foto, mettevo sempre lui in primo piano. L'avevo chiamato Peter. Il nome che ho dato anche al mio cane, diversi anni dopo.

Un viaggio alla fin fine sono dei particolari, l'insieme appartiene a tutti, i particolari solo a te. Di Stoccolma ricordo anche una discoteca su di una nave ormeggiata in uno dei tanti porti. Ma non sono questi i locali che amo, degli altri non posso parlare.



Nessun locale, nessuna vita sociale a Malta. Malta per lavoro ed erano tanti i posti da visitare. Indubbiamente meravigliosa, grandi palazzi, grandi torrioni grande roccaforte. Tanto caldo, mangiare pessimo. Sapevo che parlavano inglese, tradizioni inglesi, guida sulla destra, ma di inglese nella popolazione non c'era nulla. Allora non erano così di moda i tatuaggi, lì erano tutti tatuati. Mi ha meravigliato la mancanza di alberi o giardini, sasso, solo sasso e polvere. Lì la mia vita sociale è stata tutta di rappresentanza. Ho conosciuto diverse persone impèortanti, tanti gesuiti e anche il presidente della repubblica che una mattina ha voluto ricevere me e altre persone. Mi aveva telefonato la mattina presto il console :"vestiti con camicia e giacca, se hai anche la cravatta, fra un'ora siamo invitati nel palazzo presidenziale ". Avevo la giacca stropicciata ancora in valigia, ho cercato di stirarla con le mani , stesa sul letto. Ci ha accolto una sorta di factotum, addetto all'etichetta, un giovanottone palestrato che mi sembrava una guardia del corpo e con cui sono subito entrato in antipatia. Mi piaceva la gente di Malta, c'era una non eleganza molto trasandata che amo. In attesa all'aereoporto per il ritorno, in base a come uno era vestito, mi dicevo " italiano, inglese, americano, di Malta". Gli italiani li riconosci subito, da come sono vestiti, da come allacciano in vita o sulle spalle il pullover, da come parlano ad alta voce e soprattutto da come parlano le lingue straniere.


A Lisbona avevo fatto amicizia con due ragazze romane che pur non conoscendolo, cercavano di parlare spagnolo arrabbiandosi poi per il fatto che i portoghesi non le capissero. Una delle due ragazze era stata abbandonata dal fidanzato e per un giorno intero ci parlava del fidanzato e continuava a ripetere "si vuoi mettere Roma?", l'altra era l'amica accompagnatrice consolatrice. Il giorno dopo l'amica l'aveva abbandonata e anch'io non ricordo se perso nel castello di San Giorgio o dentro la torre di Belèm sono scomparso. "mi lasci da sola?" - "si". E me ne sono andato al giardino botanico, uno dei più antichi di tutta europa. Lisbona ti prende il cuore, il colore del cielo, l'aria che sa di pulito e di mare, il fiume che sembra il mare, la musicalità della lingua portoghese . Le uniche tre parole che avevo imparato : Obrégado, désculpame, saudade " come portarsi dietro il senso di colpa per tutta una vita, ma con un pò di malinconia. La saudade portoghese è più leggera, meno pesante di quella brasiliana. Strade grandiose oppure su e giù da massacrarsi le gambe per le strade che si inerpicano sui colli. Il barrio. Le chiese sono grandiose, alcune ricoperte di oro. Ho visto persone percorrere le navate in ginocchio. Un giorno sono capitato in una chiesa e c'era il battesimo di una bambina nera. Erano tutti nerissimi, ma vestiti con estrenma eleganza e tutti estremamente colorati. Specie le donne con i loro vestiti di seta e fiocchi, verdi, gialli rossi, alta sartoria, fatta in casa, anni 50. Erano allegri, divertenti, divertiti, rumorosi. C'è in giro a Lisbona una povertà dignitosa e oltre l'aria frizzante , dai negozi usciva discreta una musica continua, il fado. La gente ti sorride, se chiedi una qualche informazione, ti guardano, ti sorridono e ti mettono una mano sulla spalla. Volevo comprare dei cd, entro in un megastore e non riuscivo a trovare il settore che mi interessava. Chiedo al commesso, un giovanotto impettito, serio, professionale " il fado?" Mi ha guardato, ha sorriso, mi ha messo il braccio sulla spalla e con aria sospirante " ah, Amalia Rodriguez" e poi mi ha accompagnato in una stanza tutta dedicata al fado. Non amo i ristoranti da lusso e non amo i luoghi per turisti. Quando posso cerco piccole trattorie o self service per gente del posto, operai, piccoli impiegati, studenti. A Barcellona avevo trovato un posto meraviglioso, puzzolente , squallido per muratori e pescatori nella zona di Barcelloneta, prima che la ridisegnassero e restaurassero facendola diventare un luogo da lusso. Qua a Lisbona, dopo alcuni tentativi in cui capitavo sempre in mezzo a turisti, avevo trovato un posticino, una sorta di self service in cui si parlava solo portoghese e ormai si eraano abituati a questo strano essere che mangiava lentamente, sorrideva e guardava tutto ciò che succedeva. Ho camminato talmente tanto che non riuscivo a portare le scarpe per le vesciche ai piedi. "obrégado, desculpame, saudade". Ho rivisto le ragazze romane in aereoporto, una mi ha salutato, l'altra ancora arrabbiata con il mondo.




Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico



Un viaggio inizia sempre prima del viaggio, la preparazione, l'attesa, le informazioni, poi se per questo viaggio serve un visto particolare, non è solo preparazione attesa informazioni. Un altro viaggio nel viaggio. Si può andare in una agenzia, paghi e fanno tutto loro. Però forse vale anche la pena arrabbiarsi e perdere del tempo. Nel mio caso giornate. Sono andato tre giornate di seguito, mattina prestissimo per prendere il numero, altrimenti. dopo un tot di persone ,chiudono i cancelli. Da uno sportello all'altro e non potevi fare altro che aspettare. Arrivavo ai cancelli poco dopo le sette di mattina e non riuscivo mai ad uscire prima delle 14. e non potevi uscire neanche a prendere un caffè sennò , magari ti chiamavano e tu perdevi di nuovo la fila. In questi casi o te ne stai per i fatti tuoi, oppure parli. Ho conosciuto diverse persone che andavano in Russia per i disparati motivi. Praticamente nessuno per turismo, perchè per i turisti c'erano gli impiegati delle agenzie. Avevo fatto amicizia con un giovanotto, anche lui rimandato e ritornato diverse volte, un videomaker, reporter free lance, un pò di tutto, ma free lance. Era appena tornato dal Canada dove era andato a filmare le popolazioni più isolate, poi aveva partecipato ad una sorta di caccia rituale all'orso. Sarebbe dovuto partire per la Russia, a Mosca per un evento sportivo che non ricordo, poi voleva andare all'interno per filmare una popolazione rurale e quasi totalmente isolata. E' stato un bell'incontro. Un viaggiatore, un vero viaggiatore, ha il sorriso sul volto e non gli interessa vedere come sei, ma capire chi sei. Uno che ti apre l'anima perchè sa che così anche tu la potrai aprire. Uno che non giudica, guarda e ti cammina di fianco. Mi aveva detto "parti con me", ma io non potevo andare a Mosca. Dovevo andare a San Pietroburgo. San Pietroburgo, i suoi colori particolari Dostojevsky, la grandiosità e l'immensa miseria. Non sapevo cosa avrei visto e in testa tutto l'immaginario scontato, compresi i cosacchi con colbacco che cantavano Kalinka e ballavano il Kasaciok.

Arrivo, era sera, freddo , c'era già stato il disgelo, ma lungo le strade ancora cumuli di neve.

Ad attendermi una signora del consolato e un omone biondo che sembrava uscito da un film di James Bond. E una bmw nera vecchia un pochino scassata. Dovevamo salire, l'omone biondo voleva aprirci la portiera, ma la portiera non si apriva. Tutto risolto con un calcio. Le lunghe fredde grandi strade della periferia, i grandi palazzi brutti e grigi, chilometri. Tutto grande, tutto imponenete ed esagerato. Poi improvvisamente san Pietroburgo, quella da cartolina, quella della prospettiva Nevskij, quella dei colori azzurrati, quella dagli odori di muffa che immaginavi dalle pagine dei tuoi scittori preferiti. L'albergo in una stradina appiccicata ad uno degli innumerevoli canali che attraversano la città. Non male. La tv sintonizzata su di un unico canale porno, i porno più imbarazzanti che abbia mai visto. Ma di notte, la mia tv era stare alle finestre. Una vista sui tetti da infarto. Che bella e piacevole l'aria della notte di san Pietroburgo. Azzurra umidità. L'ulktima sera, cena con tanti invitati a casa del console. Piazza meravigliosa, assomigliava alla place des Vosges di Parigi. Documenti di rito, riconoscimento di rito, palpazioni che non hai armi di rito e infine dentro l'appartamento del console. La situazione da film, i maggiori imprenditori italiani, nobiltà decaduta e imboscati vari, le maggiori firme del giornalismo modaiolo italiano. Tutto raffinato finché non è arrivato il mangiare. Orde di barbari volgari in abiti firmati. Il caviale mangiato a cucchiaiate. Un giovanotto di famiglia importante continuava a mangiare e a starmi appiccicato e mi chiedeva se conoscevo delle discoteche nei paraggi. Poi ci siamo capiti con un cameriere russo che mi ha fatto entrare in un cortiletto così mi sono messo a fumare e ad aspettare che tutto finisse. Sono stato circa una settimana e la regola era che non avrei mai dovuto spostarmi da solo, ma dire sempre dove andavo e possibilmente farmi accompagnare da qualcuno. Figuriamoci. San Pietroburgo è bellissima, ma da paura. Le grandi case che rinchiudono dentro altre case che rinchiudono dentro altre case, sembra all'infinito. Uno potrebbe essere rapito a san Pietroburgo e nessuno se ne accorgerebbe. Ho girato tanto in maniera non ufficiale e le lunghe ombre su ponti mi davano l'idea che un altro Sosia, o addirittura Dostojevsky, mi fossero venuti incontro.



Non puoi andare a San Pietroburgo e accontentarti dei viaggi ufficiali e programmati. Vedere quello che vogliono le guide. Ricchezza e povertà. Grandiosità e miseria. Non è una città da andarci da soli, ma una città da andarci , con qualcuno però. Tempo fa in televisione la piazza dellHermitage invasa dalle persone in lutto per l'aereo esploso sul Sinai. Allora i venditori della piazza parlavano italiano. E poi la gente, gli ubriachi della notte , i barboni che si lavavano, alla faccia del freddo, dentro i canali, i prostituti o le prostitute tutti giovanissimi che mi inseguivano e ammiccavano. I ladruncoli in agguato, le chiese maestose , una tutta d'oro. Che cosa mi ha colpito di San Pietrobiurgo? Tutto. Le donne che compravano le sportine di carta con su disegnato qualche marchio italiano. Le grandi strade con tante persone a chiedere l'elemosina e magari in quel momento il passaggio di una limousine. I bambini che sniffavano colla al mercato dove . Le chiese maestose, i palazzi maestosi, i ponti, gente che lavava le macchine prendendo l'acqua dai canali . Gli stessi dove di notte i barboni andavano a lavarsi o gli ubriachi a pisciare. Bellezza, magnificenza, miseria , ricchezza senza vie di mezzo. Avevo fatto amicizia con i portieri dell'albergo, ragazzi giovani atletici, sembravano tutti ex militari, una piccola mancia, un sorriso e tu non sai che sono uscito dall'albergo. Momenti di paura ce ne sono stati come quando mi sono ritrovati di fianco alla piazza dei ragazzini che sniffavano colla, in un'altra piazzetta, odori fortissimi, mercanzie colorate e di tutti i generi e le persone poverissime sembravano essere arrivate dalle regioni più orientali dell'ex unione sovietica. Molto scuri , gli zigomi sporgenti e gli occhi spesso a mandorla.
Sono stato praticamente guardato a vista, ero un intruso e lì , non la polizia o il consolato,ma gli abitanti del posto che non gradivano la mia presenza. Poi il ritorno, l'omone biondo, la Bmw nera, i cumuli di nevi , le lunghe grandissime strade, i palazzoni grigi , il chek-in interminabile e l'obbligo di togliersi le scarpe. Pensavo di essere l'unico ad avere ogni tanto i calzini bucati. Saudade? No malinconia

fine parte terza

mercoledì 15 giugno 2016

L'aria veloce del nord - seconda parte

l'aria veloce del nord, seconda parte. Un pensiero ai ragazzi e alle ragazze assassinati a Orlando 

 
Vienna non l'ho amata. Troppo bellina, troppo perfetta, troppo pulita. Non avevo trovato voli diretti per Vienna, allora sono partito per Bratislava dove poi ho preso un pulman. Avessi saputo che c'era un collegamento Bratislava – Vienna anche tramite battello sul Danubio, avrei scelto questo. Il viaggio in pullman, bello, poco più di un'ora e mi veniva in mente Terzani e il suo non volere prendere aerei per un anno. Si vedono più cose. Il paesaggio piacevole. Il pulman mi doveva scaricare vicino ad una fermata della metropolitana, mi sono trovato , fine corsa, alla periferia di un brutto quartierone per operai ed immigrati che già di suo era alla periferia della città. Vienna, ma poteva essere qualsiasi altro posto. Brutto, anonimo e inospitale come qualsiasi altro quartierone alla periferia di qualsiasi altra città. Dopo qualche ora sono riuscito a capire dove ero e quale autobus prendere per arrivare dove dovevo andare. Vienna è bella, esattamente come le cartoline. Mi ha dato l'idea di città ideale per coppie attempate, risposate e in viaggio di nozze. Cammini per Vienna, cielo nè grigio nè azzurro, cielo. Nessun profumo e ti aleggiano in testa i valzer, quelli del primo dell'anno in televisione. E ti aspetti da un momento all'altro di vedere qualche signorina diciottenne in abito da sera pronta per il suo ballo del debutto. Tutto bellissimo , tutto perfetto, nessun odore, fortuna il palazzo reale e il profuno di stalla dei cavalli e fortuna le pasticcerie. Ma la perfezione non esiste neanche a Vienna. Ero alloggiato in un albergo economico gestito da suore e frequentato perloppiù da preti e suore. Per arrivare in centro , circa dieci minuti a piedi, dovevo attraversare una grande parco. Qualche movimento sospetto, ma niente di che. Una mattina , come tutte le mattine attraverso il parco per andare in una qualche pasticceria, noto un movimento strano. Ero su di un ponte che attraversava il parco e sotto, forse una ventina di metri, una strada che attraversava un altro parco sottostante. Vedo in lontananza una ragazzina nera, lo sguardo perso, malamente truccata, i capelli scompigliati, la faccia gonfia e ho pensato "questa si sta per suicidare". Non ho fatto in tempo a pensare e subito ho visto la ragazzina che oltrepassava la ringhiera per buttarsi giù. Ho iniziato a correre e sono riuscito a prendere la ragazzina per i polsi, lei sospesa nel vuoto con una tale rabbia e determinazione che non riuscivo a portarla in salvo. Ho iniziato a urlare, eppure prima c'era tanta gente in giro, ma non si vedeva più nessuno. Ho continuato a urlare finchè sono arrivati di corsa due ragazzini che hanno iniziato a parlare strano. Piantatela di parlare datemi una mano. Italiano? Si italiano, datemi una mano. Con fatica siamo riusciti a sollevarla. Poi sono arrivate altre persone, hanno
chiamato la polizia, hanno chiamato l'ambulanza. I ragazzini mi hanno detto: "meglio che noi scompariamo,ma anche tu , non ti conviene rimanere qua e farti interrogare dalla polizia". Erano ragazzini, anche loro come la ragazza, poco più che bambini. Marrocchini, avevano abitato in italia e continuavano a ridere e ad essere stupidissmi. Probabilmente due piccoli prostituti o spacciatori, o entrambe le cose. Erano a loro modo eleganti, un pò stropicciati, non troppo puliti, ma mi hanno salutati con un sorriso e una stretta di mano :"ciao italiano" e sono scomparsi. Mi hanno dato l'idea di due cuccioli di cane, grande cuore ed entusiasmo, continua voglia di giocare e di azzuffarsi, ma sempre vicini e di corsa per scoprire il mondo e sempre pronti a fare danni. Di fronte, al dilà del parco, oltre la grande strada con automobili disciplinate, la vetrina con esposte gigantesche saune da esterno. Di fianco il Musikverein, il teatro della musica, quello , credo, dei concerti del primo dell'anno alla televisione. Oltre la strada e oltre i palazzi l'inizio del centro con le signore e i signori eleganti, i turisti con il pacchettino della sacher tort e finalmente il palazzo reale e la puzza dei troppo equilibrati cavalli Lipizzani.

Cavalli di diverso genere ne ho visti , non ricordo se a Colonia, Francoforte o Amburgo. Ero prevenuto nei confronti delle città tedesche, anche se avevo amici che abitavano in Germania e mi raccontavano di Berlino, città medievali, foreste nere, di persone non così ostiche come spesso nell'immaginario. Non ricordo quale di queste tre città, però c'era un parco immenso totalmente recintato. Se non avevo capito male era gestito da una cooperativa per persone disabili. Questo parco era molto curato e c'erano pecore, cavalli, mucche tutti totalmente liberi. Vedevo dei giovanotti che preparavano il cibo, tanto, perchè tanti erano gli animali. Ad un certo punto , uno di questi giovanotti, ha iniziato a battere con un ferro contro una tinozza di zinco e continuava a battere. Improvvisamente, cavalli, mucche, pecore hanno iniziato a correre all'impazzata verso il richiamo e il cibo. Erano su in alto, si di una collinetta e vedere queste centinaia di animali correre all'unisono, toglieva il fiato. Il giovanotto con la sindrome di down, sorrideva e man mano gli animali mangiavano, lui passava ad accarezzarli tutti. Forse Francoforte.
Ad Amburgo, la prima cosa che mi hanno detto è stato : "devi vedere il quartiere a luci rosse". Figuriamoci, mai vista Amburgo, vado a perdermi nel quartiere a luci rosse. Infatti di giorno visitavo Amburgo e la sera, mi avevano detto che dovevo assolutamente andare, andavo: nel quartierone a luci rosse. Ad Amburgo ho conosciuto un architetto, mi hanno detto poi, uno molto importante. Abitava in un ex quartiere operaio, fabbriche dismesse. Lui e altri architetti avevano ridisegnato e ristrutturato il quartiere e quello che si poteva. Un quartiere a sè stante, non sembrava Amburgo, senza macchine, strade lastricate, piazzette e l'andamento lento e piacevole delle persone. Diverso , più incasinato e rumoroso l'altro quartiere, quello a luci rosse.Anni prima a Bruxelles scendendo di notte dal treno c'erano delle case con delle finestre e signorine sedute in bella vista, ma era tutto grigio, c'era aria di mistero, forse il freddo, gli uomini che passavano , erano molto coperti, anche il volto. Ad Amburgo no, forse perchè era un periodo caldo, ma tutto alla luce del sole. Supermercati, alberghi e tutto ciò che uno può immaginare, tutto in funzione di quello. Una sorta di circo dalle proporzioni grandiose e allegria sfrenata come al circo. Si le signorine c'erano, in bella mostra, alcune molto belle, ma non riuscivo a capire l'allegria. C'erano anche locali , i più svariati. Davanti alle scale di uno di questi, grosso affollamentio di ragazzi. Ad un certo punto si apre la porta e su in cima alla scala compare una ragazza nera, di bellezza esagerata, completamente vestita di bianco, il seno in evidenza, le lunghe gambe scoperte. Un boato. Sembrava un popolo in adorazione del proprio idolo.
Conoscevo un muratore, delle zone dove abito, che risparmiava tutto l'anno, poi al momento delle ferie, andava ad Amburgo , più spesso ad Amsterdam e risiedeva un mese solo e unicamente all'interno dei quartieri a luci rosse. Non ha mai visto nulla oltre le case delle signorine. 
 

Ad Amsterdam, mi raccontavano che i ragazzi italiani non erano visti troppo bene, infatti negli alberghi, chiedevano il saldo del conto già dal primo giorno. Io ero ospite in una foresteria vicinissima alla piazza, quella dei fiori. Un appartamento all'ultimo piano in caratteristica casa Olandese. Gradini faticosi e ripidissimi, tetto spiovente. Però si vedevano i canali. In quei giorni li stavano ripulendo dalle biciclette. Migliaia. C'erano le chiatte piene. Mi hanno spiegato che di notte, molti, specialmente turisti, si ubriacavano e buttavano le biciclette nei canali. Ogni tanto qualcuno si buttava pure lui. C'erano diverse mostre interessanti da vedere, ma ore di fila per cui ho preferito perdermi all'interno di un parco curatissimo, famoso negli anni 70/80 per gli sballati di tutta europa. Stavano girando un film, forse una pubblicità. Una signora elegante camminava tranquilla, arrivava di corsa uno sballatone e le rubava la borsa. Stop. Finite le riprese, danno una busta con dei soldi al ragazzo che io pensavo un attore. Invece era uno sballatone del parco che avevano assoldato perchè molto veritiero. Era così soddisfatto della parte cinematografica e dei soldi che dopo sembrava volasse e si guardava in giro sorridendo a tutti. Gli mancavano diversi denti e lo sguardo era perso. 

l'aria veloce del nord- fine seconda parte 

sabato 11 giugno 2016

L' aria veloce del nord - prima parte

da un pò di tempo ho ricominciato a scrivere : io li chiamo i miei piccoli romanzi. Per ora due. E ho deciso, così come nel passato in cui spesso si pubblicava a puntate, di iniziare a pubblicare qualcosa a puntate sul blog. Questo si chiama "l'aria veloce del nord". In realtà molto più lungo rispetto a quello che riporto qua. Però è la versione ridotta per uno spettacolo con interprete Marco Zappalaglio. Lo presenteremo questa estate come lettura studio, o come si dice in questi casi , lo presenteremo come "work in progres". Parla di viaggi, ma più che luoghi parla di persone e di sensazioni. Non mi interessava raccontare i palazzi, le strade le piazze, mi interessava la mia angolatura decisamente astigmatica. Dicevo per ora i miei piccoli romanzi sono due, quelli iniziati a scrivere poco tempo fa. Vorrei arrivare a dieci, poi vedrò se anche per gli altri continuerò questo giochino del pubblicare a puntate ( dai, mi fa sentire un pochino Dostojevsky ) . Ora è sabato, ma poi mi sono dato come scadenza mercoledì o giovedì. E se qualcuno ha voglia di leggere, "obrégado"

L'ARIA VELOCE DEL NORD - PRIMA PARTE

C'è profumo nei viaggi, aria di erotismo, c'è la polvere antica dei palazzi e degli insediamenti, c'è la bellezza allo stadio primordiale. Tu che arrivi dal nord con tutti i tuoi preconcetti e improvvisamente respiri.

Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico. I colori e i profumi. Qua in questi posti della bassa, bergamasca, bresciana, cremonese, posti di grande bellezza non subito visibile, ma da scoprire lentamente, qua in questi posti, spesso impolverati di nebbia, non è scontato vedere un cielo azzurro pulito, non è scontato annusare profumi che ti sconvolgono la mente.

Quando ero piccolo c'erano i giornalini, da Topolino ad altri, ogni tanto si incontrava qualcuno con uno strano cappello di pelliccia in testa con tanto di coda, si vedeva ogni tanto una bandiera con una foglia , oppure scoiattoli o diversi roditori e questo era il Canada. C'era anche una canzone "volevo una casetta piccolina in canada". Come l'Australia, dove tanti italiani riuscivano ad imbarcarsi per trovare lavoro, così il Canada sembrava lontanissimo, praticamente irraggiungibile, se non dai migranti . Lontano è lontano. Ho preso l'aereo a Malpensa, scalo a Detroit. I terminali per le partenze sono spesso sfarzosi, gente che cammina , aspetta, bar ristoranti, negozi, gente che legge, che dorme, che aspetta. Volo Malpensa – Monteral scalo Detroit, presentarsi agli sportelli. I terminal degli arrivi sono squallidi. Lunghi tunnel, non sai mai dove sia la tua valigia, di solito io mi accodo agli altri. Ma se ti accodi al gruppo sbagliato, sono problemi. Tutto squallido, nessuno seduto, nessuno che legge, fretta. Un pò di lungaggini e qualche problema a Detroit e finalmente Montreal.. Io sapevo che in Canada c'era il Quebec, che non era molto lontano da uno dei poli, presumo quello nord, che c'erano le giovani marmotte, i castori, il salmone affumicato del canada, la bandiera con la foglia di acero e lo sciroppo di acero, sapevo anche che era un posto importante per la nuova danza e che la gente parlava o inglese o francese, che li vicino c'erano anche indiani ed eschimesi.E boschi immensi. Non sapevo niente altro. Aereoporto, periferia di Montreal, non bella, non brutta, enorme periferia. Spazi enormi. Un taxi per portarmi in albergo. Una brutta strada che non era brutta , ma piena di alberghi. Non amo stare nelle strade piene di alberghi con il via vai continuo degli autobus stracarichi di turisti, amo abitare, fosse anche solo per una settimana, dove abita la gente del posto. Le prime immagini che ho di Montreal mi danno l'idea di libertà. L'aria fresca, il vento continuo, le strade polverose non troppo curate, le nuvole che corrono a velocità impresssionante, niente a che vedere con l'andamento calmo delle nostre. La gente mi piace subito, non troppo curati, non troppo trasandati, i vestiti a strati, se ti fermi a controllare la cartina, subito si avvicinano e ti chiedono se hai bisogno di aiuto. C'è dignità e rispetto anche per i barboni che hanno la possibilità, sempre, di un angolo protetto. La notte li ho visti dormire dentro le sale bancomat delle banche. Vicino al mio albergo un grande parcheggio non asfaltato con alcune case cadenti e poi una lunghissima strada di cui mi sono innamorato e che è stata la mia principale frequentazione. Una mattina presto, nessuno per strada, ho incrociato un trans, alto , nero, magrissimo completamente fatto. Le unghie con lo smalto smangiucchiato. Procedeva a ritmo lento, naturalmente diva. Non si accorgeva di nessuno, non vedeva nessun. In mano un contenitore di plastica con degli spaghetti troppo unti. Con l'altra mano , lentamente e svogliatamente, ogni tanto prendeva degli spaghetti e li metteva in bocca . Avanzava ciondolando e cantava una canzone d'opera :"casta diva". Sommessamente, delicatamente, per sè. Sono stato una settimana a Montreal, poco per vedere o capire una metropoli, poco per capire o vedere il Quebec o il resto del Canada. La strada di cui mi ero innamorato, è divisa in due parti. Una parte totalmente francese. Pulita elegante, negozi, farmacie. Ho avuto bisogno della farmacia e ho incontrato la titolare, una signora piemontese. Non immaginavo quanti italiani vivessero in Canada. Ancora prima di andare un albergo , avevo visto un bar "caffè italiano" talmente italiano che il proprietario, in Canada ormai da quarant'anni, non sapeva nè il francese, nè l'inglese, neanche l'italiano. Parlava solo il suo dialetto , veneto mi pare. Ritorniamo alla nostra strada, la metà francese c'erano i mercati di cibo e i tantissimi ristorantini più o meno etnici. L'altra parte inglese, meno curata, più rumorosa, piena di tutto e il contrario di tutto. E la mia giornata era così scandita. La mattina in giro per la città sotterranea. Il pomeriggio e la sera il mio dovere di lavoratore, e di notte la strada, esclusivamente la parte inglese. In Canada l'inverno, ma anche la primavera possono essere molto freddi, praticamente impossibile uscire di casa, allora esiste una città sotterranea. Da molti garage di condomini partono strade sotterranee che vanno a congiungersi con la metropolitana e appunto anche con l'altra città. Città vera e propria che si snoda anche per quattro piani sottoterra. Ci sono anche piazze e fontane. Diversi pozzi prendono e ridanno aria e luce dal suolo sopra. Cosa c'è in una città sotterranea? Tutto, compresa l'allegria di gente sempre in movimento e con la voglia di parlare e di ridere. Montreal niente a che fare con il nord industrializzato degli Stati Uniti, c'è un tale miscuglio di colori ed etnie che sembrano coesistere in maniera ottimale. Salvo però rimanere o inglesi o francesi. Le ragazze e i ragazzi che si vedono per strada hanno spesso i tratti incrociati dalle divesre etnie e sono belli. Una bellezza, diffusa, piacevole, serena. Non troppo curata o incellofanata. Una bellezza ricoperta e vestita a strati. La notte, la parte di strada francese era noiosissima, negozi chiusi, città per bene. La strada inglese era un incrocio continuo di vitalità, erotismo e allegria. Niente a che fare con i quartieri a luci rosse per esempio di Amsterdam o Amburgo, cupi, inquietanti. Qua tutto si mescolava. Locali , bar e ritrovi di tutti i tipi. Locali per sole donne, probabilmente strep tease maschili. Fila interminabili di donne all'ingresso, da dove ogni tanto usciva per fare un giretto di propaganda un qualche giovanotto muscoloso e con tanga ridottissimo fra il tripudio e gli applausi generali. Locali con prostitute di alto bordo sulla porta. E locali in continuazione di tutti i generi e per tutti i gusti. Di fronte al locale per le ragazze, dall'altra parte della strada, una chiesa e persone, non solo barboni, che facevano la fila per avere un pasto caldo. Ad un certo punto, da una parte un locale , anche qui fila di ragazzi e ragazze, sulla strada passa lentamente una limousine, con sbracciate alcune ragazzine, giovanissime, belle ed eleganti che iniziano a prendere in giro , allegramente, le persone in fila. Per diversi minuti c'è stato un continuo botta e risposta fra le persone in fila e le ragazzine della limousine. Parlavano di sesso e di accoppiamenti, ma era un botta e risposta scandito da risate continue da entrambe le parti. L'ultima notte non avevo voglia di tornare in albergo. Non avevo voglia di dormire e fino all'alba me ne sono stato in giro per strada e locali. Il giorno dopo, il giorno della partenza - chiaramente non ho visto solo la città sotterranea e la strada metà inglese, metà francese – la malinconia della partenza per una città che mi era entrata nel cuore. Il tempo era splendido, cielo, azzurro intenso , spesso blu come gli occhi che spesso incrociavo. Chiamo un taxi e quando scendo ne trovo due. Un taxista era bianco, l'altro nero e ognuno dei due affermava che il taxi chiamato era il suo. Hanno iniziato a litigare. Uno diceva " tu ce l'hai cone me perchè sono nero" – quell'altro gli rispondeva " tu ne approfitti a fare la vittima". Rischiavamo di perdere l'aereo. Non ricordo se sono salito sul taxi dell'uomo nero o dell'uomo bianco. In uno sono salito. Improvvisamente e velocemente il cielo ha iniziato ad essere percorso da nuvole impazzite ed ha iniziato a piovere. Era aprile. Pioveva tantissimo e altrettanto improvvisamente ha iniziato a nevicare. Quando sono arrivato in aereoporto, la neve era talmente tanta che non si riusciva a partire. Poi a Detroit per il cambio aereo hanno perso le valige, le mie e quelle di una coppia di Montreal che veniva in italia per le vacanze. Abbiamo perso la coincidenza e non c'erano più aerei per l'Italia. Dopo corse affannose da un terminal all'altro, qualche persona pietosa ci ha caricati su di un aereo che faceva scalo in Svizzera e di lì un altro aereo finalmente per Malpensa dove ho dovuto aspettare ore per riuscire a recuperare i miei bagagli. In giro per aerei praticamente due giorni. E sporco, sudato, stanco, assonnato, sul trenino del ritorno, già guardavo il calendario per decidere quando sarei potuto ritornare.
 


Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico