Appena esce un pò di sole
nelle città del nord, la gente si spoglia e si sdraia da qualche
parte a prendere il sole. Non sto a seguire una logica
spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del
cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel
racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico
Quando sono arrivato a
Stoccolma non c'era il sole, da noi era già primavera. Lì era
appena terminato il disgelo. Gli alberi ancora spogli, l'erba
bruciata dal ghiaccio e dalla neve. Ero in periferia, vicino ad una
zona universitaria. Tutta una zona costruita negli anni 50/60, ben
tenuta , un quartiere da modernariato. E anche i mobili , precursori
di quelle linee sobrie, appunto svedesi. Nei giorni successivi sempre
il sole e giardinetti e parchi erano pieni di persone con la faccia a
prendere un pò di calore. Stoccolma si gira, è bella, l'aria è
frizzantina, la parte antica sa di muffa e appunto antico. Sembra che
niente sappia di trasgressione. Le notti sono fredde, non riesco ad
immaginare cosa sia l'inverno. Sembra che tutto funzioni alla
perfezione, forse è così. Non mi ha dato l'impressione di clinica
asettica così come era stato per Vienna. Al nord cenano presto ed è
difficle trovare qualcosa di aperto dopo le 21. Ho usato molto la
metropolitana, poche volte il taxi, conducenti solo e unicamente
stranieri, quasi sempre a piedi. Stoccolma va girata perchè un
pizzico di follia te la ritrovi sempre. Come le barche dei Wikinghi e
poi il fatto che si divida su quattordici isole, vuol dire
attraversare innumerevoli volte innumerevoli ponti. Un giorno sono
capitati in una zona ancora più periferia e c'era un bazar enorme,
niente a che vedere con i bei negozi svedesi o i ristorantini con le
ampie finestre sulla strada e le candele accese. Era il bazar più
incasinato e messo male che abbia mai visto. Tantissime persone
dentro, nessun turista. Ho trovato un omino di legno, alto 40
centimetri, con gilet rosso e baffi grandi. Un giocatore di Hokey. Me
l'hanno dato per dieci euro. Erano due gli omini, il giorno dopo sono
ritornato per prendere anche l'altro, ma non ho più trovato il
negozio. Per anni mi sono sempre portato dietro questo omino e
qualsiasi foto, mettevo sempre lui in primo piano. L'avevo chiamato
Peter. Il nome che ho dato anche al mio cane, diversi anni dopo.
Un viaggio alla fin fine sono
dei particolari, l'insieme appartiene a tutti, i particolari solo a
te. Di Stoccolma ricordo anche una discoteca su di una nave
ormeggiata in uno dei tanti porti. Ma non sono questi i locali che
amo, degli altri non posso parlare.
Nessun locale, nessuna vita
sociale a Malta. Malta per lavoro ed erano tanti i posti da
visitare. Indubbiamente meravigliosa, grandi palazzi, grandi torrioni
grande roccaforte. Tanto caldo, mangiare pessimo. Sapevo che
parlavano inglese, tradizioni inglesi, guida sulla destra, ma di
inglese nella popolazione non c'era nulla. Allora non erano così di
moda i tatuaggi, lì erano tutti tatuati. Mi ha meravigliato la
mancanza di alberi o giardini, sasso, solo sasso e polvere. Lì la
mia vita sociale è stata tutta di rappresentanza. Ho conosciuto
diverse persone impèortanti, tanti gesuiti e anche il presidente
della repubblica che una mattina ha voluto ricevere me e altre
persone. Mi aveva telefonato la mattina presto il console :"vestiti
con camicia e giacca, se hai anche la cravatta, fra un'ora siamo
invitati nel palazzo presidenziale ". Avevo la giacca
stropicciata ancora in valigia, ho cercato di stirarla con le mani ,
stesa sul letto. Ci ha accolto una sorta di factotum, addetto
all'etichetta, un giovanottone palestrato che mi sembrava una guardia
del corpo e con cui sono subito entrato in antipatia. Mi piaceva la
gente di Malta, c'era una non eleganza molto trasandata che amo. In
attesa all'aereoporto per il ritorno, in base a come uno era vestito,
mi dicevo " italiano, inglese, americano, di Malta". Gli
italiani li riconosci subito, da come sono vestiti, da come
allacciano in vita o sulle spalle il pullover, da come parlano ad
alta voce e soprattutto da come parlano le lingue straniere.
A Lisbona avevo fatto amicizia
con due ragazze romane che pur non conoscendolo, cercavano di parlare
spagnolo arrabbiandosi poi per il fatto che i portoghesi non le
capissero. Una delle due ragazze era stata abbandonata dal fidanzato
e per un giorno intero ci parlava del fidanzato e continuava a
ripetere "si vuoi mettere Roma?", l'altra era l'amica
accompagnatrice consolatrice. Il giorno dopo l'amica l'aveva
abbandonata e anch'io non ricordo se perso nel castello di San
Giorgio o dentro la torre di Belèm sono scomparso. "mi lasci da
sola?" - "si". E me ne sono andato al giardino
botanico, uno dei più antichi di tutta europa. Lisbona ti prende il
cuore, il colore del cielo, l'aria che sa di pulito e di mare, il
fiume che sembra il mare, la musicalità della lingua portoghese .
Le uniche tre parole che avevo imparato : Obrégado, désculpame,
saudade " come portarsi dietro il senso di colpa per tutta una
vita, ma con un pò di malinconia. La saudade portoghese è più
leggera, meno pesante di quella brasiliana. Strade grandiose oppure
su e giù da massacrarsi le gambe per le strade che si inerpicano sui
colli. Il barrio. Le chiese sono grandiose, alcune ricoperte di oro.
Ho visto persone percorrere le navate in ginocchio. Un giorno sono
capitato in una chiesa e c'era il battesimo di una bambina nera.
Erano tutti nerissimi, ma vestiti con estrenma eleganza e tutti
estremamente colorati. Specie le donne con i loro vestiti di seta e
fiocchi, verdi, gialli rossi, alta sartoria, fatta in casa, anni 50.
Erano allegri, divertenti, divertiti, rumorosi. C'è in giro a
Lisbona una povertà dignitosa e oltre l'aria frizzante , dai negozi
usciva discreta una musica continua, il fado. La gente ti sorride, se
chiedi una qualche informazione, ti guardano, ti sorridono e ti
mettono una mano sulla spalla. Volevo comprare dei cd, entro in un
megastore e non riuscivo a trovare il settore che mi interessava.
Chiedo al commesso, un giovanotto impettito, serio, professionale "
il fado?" Mi ha guardato, ha sorriso, mi ha messo il braccio
sulla spalla e con aria sospirante " ah, Amalia Rodriguez"
e poi mi ha accompagnato in una stanza tutta dedicata al fado. Non
amo i ristoranti da lusso e non amo i luoghi per turisti. Quando
posso cerco piccole trattorie o self service per gente del posto,
operai, piccoli impiegati, studenti. A Barcellona avevo trovato un
posto meraviglioso, puzzolente , squallido per muratori e pescatori
nella zona di Barcelloneta, prima che la ridisegnassero e
restaurassero facendola diventare un luogo da lusso. Qua a Lisbona,
dopo alcuni tentativi in cui capitavo sempre in mezzo a turisti,
avevo trovato un posticino, una sorta di self service in cui si
parlava solo portoghese e ormai si eraano abituati a questo strano
essere che mangiava lentamente, sorrideva e guardava tutto ciò che
succedeva. Ho camminato talmente tanto che non riuscivo a portare le
scarpe per le vesciche ai piedi. "obrégado, desculpame,
saudade". Ho rivisto le ragazze romane in aereoporto, una mi ha
salutato, l'altra ancora arrabbiata con il mondo.
Non sto a seguire una logica
spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del
cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel
racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico
Un viaggio inizia sempre prima
del viaggio, la preparazione, l'attesa, le informazioni, poi se per
questo viaggio serve un visto particolare, non è solo preparazione
attesa informazioni. Un altro viaggio nel viaggio. Si può andare in
una agenzia, paghi e fanno tutto loro. Però forse vale anche la pena
arrabbiarsi e perdere del tempo. Nel mio caso giornate. Sono andato
tre giornate di seguito, mattina prestissimo per prendere il numero,
altrimenti. dopo un tot di persone ,chiudono i cancelli. Da uno
sportello all'altro e non potevi fare altro che aspettare. Arrivavo
ai cancelli poco dopo le sette di mattina e non riuscivo mai ad
uscire prima delle 14. e non potevi uscire neanche a prendere un
caffè sennò , magari ti chiamavano e tu perdevi di nuovo la fila.
In questi casi o te ne stai per i fatti tuoi, oppure parli. Ho
conosciuto diverse persone che andavano in Russia per i disparati
motivi. Praticamente nessuno per turismo, perchè per i turisti
c'erano gli impiegati delle agenzie. Avevo fatto amicizia con un
giovanotto, anche lui rimandato e ritornato diverse volte, un
videomaker, reporter free lance, un pò di tutto, ma free lance. Era
appena tornato dal Canada dove era andato a filmare le popolazioni
più isolate, poi aveva partecipato ad una sorta di caccia rituale
all'orso. Sarebbe dovuto partire per la Russia, a Mosca per un evento
sportivo che non ricordo, poi voleva andare all'interno per filmare
una popolazione rurale e quasi totalmente isolata. E' stato un
bell'incontro. Un viaggiatore, un vero viaggiatore, ha il sorriso sul
volto e non gli interessa vedere come sei, ma capire chi sei. Uno che
ti apre l'anima perchè sa che così anche tu la potrai aprire. Uno
che non giudica, guarda e ti cammina di fianco. Mi aveva detto "parti
con me", ma io non potevo andare a Mosca. Dovevo andare a San
Pietroburgo. San Pietroburgo, i suoi colori particolari Dostojevsky,
la grandiosità e l'immensa miseria. Non sapevo cosa avrei visto e in
testa tutto l'immaginario scontato, compresi i cosacchi con colbacco
che cantavano Kalinka e ballavano il Kasaciok.
Arrivo, era sera, freddo ,
c'era già stato il disgelo, ma lungo le strade ancora cumuli di
neve.
Ad attendermi una signora del
consolato e un omone biondo che sembrava uscito da un film di James
Bond. E una bmw nera vecchia un pochino scassata. Dovevamo salire,
l'omone biondo voleva aprirci la portiera, ma la portiera non si
apriva. Tutto risolto con un calcio. Le lunghe fredde grandi strade
della periferia, i grandi palazzi brutti e grigi, chilometri. Tutto
grande, tutto imponenete ed esagerato. Poi improvvisamente san
Pietroburgo, quella da cartolina, quella della prospettiva Nevskij,
quella dei colori azzurrati, quella dagli odori di muffa che
immaginavi dalle pagine dei tuoi scittori preferiti. L'albergo
in una stradina appiccicata ad uno degli innumerevoli canali che
attraversano la città. Non male. La tv sintonizzata su di un unico
canale porno, i porno più imbarazzanti che abbia mai visto. Ma di
notte, la mia tv era stare alle finestre. Una vista sui tetti da
infarto. Che bella e piacevole l'aria della notte di san Pietroburgo.
Azzurra umidità. L'ulktima sera, cena con tanti invitati a casa del
console. Piazza meravigliosa, assomigliava alla place des Vosges di
Parigi. Documenti di rito, riconoscimento di rito, palpazioni che non
hai armi di rito e infine dentro l'appartamento del console. La
situazione da film, i maggiori imprenditori italiani, nobiltà
decaduta e imboscati vari, le maggiori firme del giornalismo modaiolo
italiano. Tutto raffinato finché non è arrivato il mangiare. Orde
di barbari volgari in abiti firmati. Il caviale mangiato a
cucchiaiate. Un giovanotto di famiglia importante continuava a
mangiare e a starmi appiccicato e mi chiedeva se conoscevo delle
discoteche nei paraggi. Poi ci siamo capiti con un cameriere russo
che mi ha fatto entrare in un cortiletto così mi sono messo a fumare
e ad aspettare che tutto finisse. Sono stato circa una settimana e
la regola era che non avrei mai dovuto spostarmi da solo, ma dire
sempre dove andavo e possibilmente farmi accompagnare da qualcuno.
Figuriamoci. San Pietroburgo è bellissima, ma da paura. Le grandi
case che rinchiudono dentro altre case che rinchiudono dentro altre
case, sembra all'infinito. Uno potrebbe essere rapito a san
Pietroburgo e nessuno se ne accorgerebbe. Ho girato tanto in maniera
non ufficiale e le lunghe ombre su ponti mi davano l'idea che un
altro Sosia, o addirittura Dostojevsky, mi fossero venuti incontro.
Non puoi andare a San
Pietroburgo e accontentarti dei viaggi ufficiali e programmati.
Vedere quello che vogliono le guide. Ricchezza e povertà.
Grandiosità e miseria. Non è una città da andarci da soli, ma una
città da andarci , con qualcuno però. Tempo fa in televisione la
piazza dellHermitage invasa dalle persone in lutto per l'aereo
esploso sul Sinai. Allora i venditori della piazza parlavano
italiano. E poi la gente, gli ubriachi della notte , i barboni che si
lavavano, alla faccia del freddo, dentro i canali, i prostituti o le
prostitute tutti giovanissimi che mi inseguivano e ammiccavano. I
ladruncoli in agguato, le chiese maestose , una tutta d'oro. Che cosa
mi ha colpito di San Pietrobiurgo? Tutto. Le donne che compravano le
sportine di carta con su disegnato qualche marchio italiano. Le
grandi strade con tante persone a chiedere l'elemosina e magari in
quel momento il passaggio di una limousine. I bambini che sniffavano
colla al mercato dove . Le chiese maestose, i palazzi maestosi, i
ponti, gente che lavava le macchine prendendo l'acqua dai canali .
Gli stessi dove di notte i barboni andavano a lavarsi o gli ubriachi
a pisciare. Bellezza, magnificenza, miseria , ricchezza senza vie di
mezzo. Avevo fatto amicizia con i portieri dell'albergo, ragazzi
giovani atletici, sembravano tutti ex militari, una piccola mancia,
un sorriso e tu non sai che sono uscito dall'albergo. Momenti di
paura ce ne sono stati come quando mi sono ritrovati di fianco alla
piazza dei ragazzini che sniffavano colla, in un'altra piazzetta,
odori fortissimi, mercanzie colorate e di tutti i generi e le persone
poverissime sembravano essere arrivate dalle regioni più orientali
dell'ex unione sovietica. Molto scuri , gli zigomi sporgenti e gli
occhi spesso a mandorla.
Sono stato praticamente guardato a vista,
ero un intruso e lì , non la polizia o il consolato,ma gli abitanti
del posto che non gradivano la mia presenza. Poi il ritorno, l'omone
biondo, la Bmw nera, i cumuli di nevi , le lunghe grandissime strade,
i palazzoni grigi , il chek-in interminabile e l'obbligo di
togliersi le scarpe. Pensavo di essere l'unico ad avere ogni tanto i
calzini bucati. Saudade? No malinconiafine parte terza
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