giovedì 23 giugno 2016

l'aria veloce del nord - terza parte


Appena esce un pò di sole nelle città del nord, la gente si spoglia e si sdraia da qualche parte a prendere il sole. Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico



Quando sono arrivato a Stoccolma non c'era il sole, da noi era già primavera. Lì era appena terminato il disgelo. Gli alberi ancora spogli, l'erba bruciata dal ghiaccio e dalla neve. Ero in periferia, vicino ad una zona universitaria. Tutta una zona costruita negli anni 50/60, ben tenuta , un quartiere da modernariato. E anche i mobili , precursori di quelle linee sobrie, appunto svedesi. Nei giorni successivi sempre il sole e giardinetti e parchi erano pieni di persone con la faccia a prendere un pò di calore. Stoccolma si gira, è bella, l'aria è frizzantina, la parte antica sa di muffa e appunto antico. Sembra che niente sappia di trasgressione. Le notti sono fredde, non riesco ad immaginare cosa sia l'inverno. Sembra che tutto funzioni alla perfezione, forse è così. Non mi ha dato l'impressione di clinica asettica così come era stato per Vienna. Al nord cenano presto ed è difficle trovare qualcosa di aperto dopo le 21. Ho usato molto la metropolitana, poche volte il taxi, conducenti solo e unicamente stranieri, quasi sempre a piedi. Stoccolma va girata perchè un pizzico di follia te la ritrovi sempre. Come le barche dei Wikinghi e poi il fatto che si divida su quattordici isole, vuol dire attraversare innumerevoli volte innumerevoli ponti. Un giorno sono capitati in una zona ancora più periferia e c'era un bazar enorme, niente a che vedere con i bei negozi svedesi o i ristorantini con le ampie finestre sulla strada e le candele accese. Era il bazar più incasinato e messo male che abbia mai visto. Tantissime persone dentro, nessun turista. Ho trovato un omino di legno, alto 40 centimetri, con gilet rosso e baffi grandi. Un giocatore di Hokey. Me l'hanno dato per dieci euro. Erano due gli omini, il giorno dopo sono ritornato per prendere anche l'altro, ma non ho più trovato il negozio. Per anni mi sono sempre portato dietro questo omino e qualsiasi foto, mettevo sempre lui in primo piano. L'avevo chiamato Peter. Il nome che ho dato anche al mio cane, diversi anni dopo.

Un viaggio alla fin fine sono dei particolari, l'insieme appartiene a tutti, i particolari solo a te. Di Stoccolma ricordo anche una discoteca su di una nave ormeggiata in uno dei tanti porti. Ma non sono questi i locali che amo, degli altri non posso parlare.



Nessun locale, nessuna vita sociale a Malta. Malta per lavoro ed erano tanti i posti da visitare. Indubbiamente meravigliosa, grandi palazzi, grandi torrioni grande roccaforte. Tanto caldo, mangiare pessimo. Sapevo che parlavano inglese, tradizioni inglesi, guida sulla destra, ma di inglese nella popolazione non c'era nulla. Allora non erano così di moda i tatuaggi, lì erano tutti tatuati. Mi ha meravigliato la mancanza di alberi o giardini, sasso, solo sasso e polvere. Lì la mia vita sociale è stata tutta di rappresentanza. Ho conosciuto diverse persone impèortanti, tanti gesuiti e anche il presidente della repubblica che una mattina ha voluto ricevere me e altre persone. Mi aveva telefonato la mattina presto il console :"vestiti con camicia e giacca, se hai anche la cravatta, fra un'ora siamo invitati nel palazzo presidenziale ". Avevo la giacca stropicciata ancora in valigia, ho cercato di stirarla con le mani , stesa sul letto. Ci ha accolto una sorta di factotum, addetto all'etichetta, un giovanottone palestrato che mi sembrava una guardia del corpo e con cui sono subito entrato in antipatia. Mi piaceva la gente di Malta, c'era una non eleganza molto trasandata che amo. In attesa all'aereoporto per il ritorno, in base a come uno era vestito, mi dicevo " italiano, inglese, americano, di Malta". Gli italiani li riconosci subito, da come sono vestiti, da come allacciano in vita o sulle spalle il pullover, da come parlano ad alta voce e soprattutto da come parlano le lingue straniere.


A Lisbona avevo fatto amicizia con due ragazze romane che pur non conoscendolo, cercavano di parlare spagnolo arrabbiandosi poi per il fatto che i portoghesi non le capissero. Una delle due ragazze era stata abbandonata dal fidanzato e per un giorno intero ci parlava del fidanzato e continuava a ripetere "si vuoi mettere Roma?", l'altra era l'amica accompagnatrice consolatrice. Il giorno dopo l'amica l'aveva abbandonata e anch'io non ricordo se perso nel castello di San Giorgio o dentro la torre di Belèm sono scomparso. "mi lasci da sola?" - "si". E me ne sono andato al giardino botanico, uno dei più antichi di tutta europa. Lisbona ti prende il cuore, il colore del cielo, l'aria che sa di pulito e di mare, il fiume che sembra il mare, la musicalità della lingua portoghese . Le uniche tre parole che avevo imparato : Obrégado, désculpame, saudade " come portarsi dietro il senso di colpa per tutta una vita, ma con un pò di malinconia. La saudade portoghese è più leggera, meno pesante di quella brasiliana. Strade grandiose oppure su e giù da massacrarsi le gambe per le strade che si inerpicano sui colli. Il barrio. Le chiese sono grandiose, alcune ricoperte di oro. Ho visto persone percorrere le navate in ginocchio. Un giorno sono capitato in una chiesa e c'era il battesimo di una bambina nera. Erano tutti nerissimi, ma vestiti con estrenma eleganza e tutti estremamente colorati. Specie le donne con i loro vestiti di seta e fiocchi, verdi, gialli rossi, alta sartoria, fatta in casa, anni 50. Erano allegri, divertenti, divertiti, rumorosi. C'è in giro a Lisbona una povertà dignitosa e oltre l'aria frizzante , dai negozi usciva discreta una musica continua, il fado. La gente ti sorride, se chiedi una qualche informazione, ti guardano, ti sorridono e ti mettono una mano sulla spalla. Volevo comprare dei cd, entro in un megastore e non riuscivo a trovare il settore che mi interessava. Chiedo al commesso, un giovanotto impettito, serio, professionale " il fado?" Mi ha guardato, ha sorriso, mi ha messo il braccio sulla spalla e con aria sospirante " ah, Amalia Rodriguez" e poi mi ha accompagnato in una stanza tutta dedicata al fado. Non amo i ristoranti da lusso e non amo i luoghi per turisti. Quando posso cerco piccole trattorie o self service per gente del posto, operai, piccoli impiegati, studenti. A Barcellona avevo trovato un posto meraviglioso, puzzolente , squallido per muratori e pescatori nella zona di Barcelloneta, prima che la ridisegnassero e restaurassero facendola diventare un luogo da lusso. Qua a Lisbona, dopo alcuni tentativi in cui capitavo sempre in mezzo a turisti, avevo trovato un posticino, una sorta di self service in cui si parlava solo portoghese e ormai si eraano abituati a questo strano essere che mangiava lentamente, sorrideva e guardava tutto ciò che succedeva. Ho camminato talmente tanto che non riuscivo a portare le scarpe per le vesciche ai piedi. "obrégado, desculpame, saudade". Ho rivisto le ragazze romane in aereoporto, una mi ha salutato, l'altra ancora arrabbiata con il mondo.




Non sto a seguire una logica spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico



Un viaggio inizia sempre prima del viaggio, la preparazione, l'attesa, le informazioni, poi se per questo viaggio serve un visto particolare, non è solo preparazione attesa informazioni. Un altro viaggio nel viaggio. Si può andare in una agenzia, paghi e fanno tutto loro. Però forse vale anche la pena arrabbiarsi e perdere del tempo. Nel mio caso giornate. Sono andato tre giornate di seguito, mattina prestissimo per prendere il numero, altrimenti. dopo un tot di persone ,chiudono i cancelli. Da uno sportello all'altro e non potevi fare altro che aspettare. Arrivavo ai cancelli poco dopo le sette di mattina e non riuscivo mai ad uscire prima delle 14. e non potevi uscire neanche a prendere un caffè sennò , magari ti chiamavano e tu perdevi di nuovo la fila. In questi casi o te ne stai per i fatti tuoi, oppure parli. Ho conosciuto diverse persone che andavano in Russia per i disparati motivi. Praticamente nessuno per turismo, perchè per i turisti c'erano gli impiegati delle agenzie. Avevo fatto amicizia con un giovanotto, anche lui rimandato e ritornato diverse volte, un videomaker, reporter free lance, un pò di tutto, ma free lance. Era appena tornato dal Canada dove era andato a filmare le popolazioni più isolate, poi aveva partecipato ad una sorta di caccia rituale all'orso. Sarebbe dovuto partire per la Russia, a Mosca per un evento sportivo che non ricordo, poi voleva andare all'interno per filmare una popolazione rurale e quasi totalmente isolata. E' stato un bell'incontro. Un viaggiatore, un vero viaggiatore, ha il sorriso sul volto e non gli interessa vedere come sei, ma capire chi sei. Uno che ti apre l'anima perchè sa che così anche tu la potrai aprire. Uno che non giudica, guarda e ti cammina di fianco. Mi aveva detto "parti con me", ma io non potevo andare a Mosca. Dovevo andare a San Pietroburgo. San Pietroburgo, i suoi colori particolari Dostojevsky, la grandiosità e l'immensa miseria. Non sapevo cosa avrei visto e in testa tutto l'immaginario scontato, compresi i cosacchi con colbacco che cantavano Kalinka e ballavano il Kasaciok.

Arrivo, era sera, freddo , c'era già stato il disgelo, ma lungo le strade ancora cumuli di neve.

Ad attendermi una signora del consolato e un omone biondo che sembrava uscito da un film di James Bond. E una bmw nera vecchia un pochino scassata. Dovevamo salire, l'omone biondo voleva aprirci la portiera, ma la portiera non si apriva. Tutto risolto con un calcio. Le lunghe fredde grandi strade della periferia, i grandi palazzi brutti e grigi, chilometri. Tutto grande, tutto imponenete ed esagerato. Poi improvvisamente san Pietroburgo, quella da cartolina, quella della prospettiva Nevskij, quella dei colori azzurrati, quella dagli odori di muffa che immaginavi dalle pagine dei tuoi scittori preferiti. L'albergo in una stradina appiccicata ad uno degli innumerevoli canali che attraversano la città. Non male. La tv sintonizzata su di un unico canale porno, i porno più imbarazzanti che abbia mai visto. Ma di notte, la mia tv era stare alle finestre. Una vista sui tetti da infarto. Che bella e piacevole l'aria della notte di san Pietroburgo. Azzurra umidità. L'ulktima sera, cena con tanti invitati a casa del console. Piazza meravigliosa, assomigliava alla place des Vosges di Parigi. Documenti di rito, riconoscimento di rito, palpazioni che non hai armi di rito e infine dentro l'appartamento del console. La situazione da film, i maggiori imprenditori italiani, nobiltà decaduta e imboscati vari, le maggiori firme del giornalismo modaiolo italiano. Tutto raffinato finché non è arrivato il mangiare. Orde di barbari volgari in abiti firmati. Il caviale mangiato a cucchiaiate. Un giovanotto di famiglia importante continuava a mangiare e a starmi appiccicato e mi chiedeva se conoscevo delle discoteche nei paraggi. Poi ci siamo capiti con un cameriere russo che mi ha fatto entrare in un cortiletto così mi sono messo a fumare e ad aspettare che tutto finisse. Sono stato circa una settimana e la regola era che non avrei mai dovuto spostarmi da solo, ma dire sempre dove andavo e possibilmente farmi accompagnare da qualcuno. Figuriamoci. San Pietroburgo è bellissima, ma da paura. Le grandi case che rinchiudono dentro altre case che rinchiudono dentro altre case, sembra all'infinito. Uno potrebbe essere rapito a san Pietroburgo e nessuno se ne accorgerebbe. Ho girato tanto in maniera non ufficiale e le lunghe ombre su ponti mi davano l'idea che un altro Sosia, o addirittura Dostojevsky, mi fossero venuti incontro.



Non puoi andare a San Pietroburgo e accontentarti dei viaggi ufficiali e programmati. Vedere quello che vogliono le guide. Ricchezza e povertà. Grandiosità e miseria. Non è una città da andarci da soli, ma una città da andarci , con qualcuno però. Tempo fa in televisione la piazza dellHermitage invasa dalle persone in lutto per l'aereo esploso sul Sinai. Allora i venditori della piazza parlavano italiano. E poi la gente, gli ubriachi della notte , i barboni che si lavavano, alla faccia del freddo, dentro i canali, i prostituti o le prostitute tutti giovanissimi che mi inseguivano e ammiccavano. I ladruncoli in agguato, le chiese maestose , una tutta d'oro. Che cosa mi ha colpito di San Pietrobiurgo? Tutto. Le donne che compravano le sportine di carta con su disegnato qualche marchio italiano. Le grandi strade con tante persone a chiedere l'elemosina e magari in quel momento il passaggio di una limousine. I bambini che sniffavano colla al mercato dove . Le chiese maestose, i palazzi maestosi, i ponti, gente che lavava le macchine prendendo l'acqua dai canali . Gli stessi dove di notte i barboni andavano a lavarsi o gli ubriachi a pisciare. Bellezza, magnificenza, miseria , ricchezza senza vie di mezzo. Avevo fatto amicizia con i portieri dell'albergo, ragazzi giovani atletici, sembravano tutti ex militari, una piccola mancia, un sorriso e tu non sai che sono uscito dall'albergo. Momenti di paura ce ne sono stati come quando mi sono ritrovati di fianco alla piazza dei ragazzini che sniffavano colla, in un'altra piazzetta, odori fortissimi, mercanzie colorate e di tutti i generi e le persone poverissime sembravano essere arrivate dalle regioni più orientali dell'ex unione sovietica. Molto scuri , gli zigomi sporgenti e gli occhi spesso a mandorla.
Sono stato praticamente guardato a vista, ero un intruso e lì , non la polizia o il consolato,ma gli abitanti del posto che non gradivano la mia presenza. Poi il ritorno, l'omone biondo, la Bmw nera, i cumuli di nevi , le lunghe grandissime strade, i palazzoni grigi , il chek-in interminabile e l'obbligo di togliersi le scarpe. Pensavo di essere l'unico ad avere ogni tanto i calzini bucati. Saudade? No malinconia

fine parte terza

Nessun commento:

Posta un commento