L'ARIA VELOCE DEL NORD - PRIMA PARTE
C'è profumo nei viaggi, aria
di erotismo, c'è la polvere antica dei palazzi e degli insediamenti,
c'è la bellezza allo stadio primordiale. Tu che arrivi dal nord con
tutti i tuoi preconcetti e improvvisamente respiri.
Non sto a seguire una logica
spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del
cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel
racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico. I
colori e i profumi. Qua in questi posti della bassa, bergamasca,
bresciana, cremonese, posti di grande bellezza non subito visibile,
ma da scoprire lentamente, qua in questi posti, spesso impolverati di
nebbia, non è scontato vedere un cielo azzurro pulito, non è
scontato annusare profumi che ti sconvolgono la mente.
Quando ero piccolo c'erano i
giornalini, da Topolino ad altri, ogni tanto si incontrava qualcuno
con uno strano cappello di pelliccia in testa con tanto di coda, si
vedeva ogni tanto una bandiera con una foglia , oppure scoiattoli o
diversi roditori e questo era il Canada. C'era anche una canzone
"volevo una casetta piccolina in canada". Come l'Australia,
dove tanti italiani riuscivano ad imbarcarsi per trovare lavoro, così
il Canada sembrava lontanissimo, praticamente irraggiungibile, se non
dai migranti . Lontano è lontano. Ho preso l'aereo a Malpensa, scalo
a Detroit. I terminali per le partenze sono spesso sfarzosi, gente
che cammina , aspetta, bar ristoranti, negozi, gente che legge, che
dorme, che aspetta. Volo Malpensa – Monteral scalo Detroit,
presentarsi agli sportelli. I terminal degli arrivi sono squallidi.
Lunghi tunnel, non sai mai dove sia la tua valigia, di solito io mi
accodo agli altri. Ma se ti accodi al gruppo sbagliato, sono
problemi. Tutto squallido, nessuno seduto, nessuno che legge, fretta.
Un pò di lungaggini e qualche problema a Detroit e finalmente
Montreal.. Io sapevo che in Canada c'era il Quebec, che non era molto
lontano da uno dei poli, presumo quello nord, che c'erano le giovani
marmotte, i castori, il salmone affumicato del canada, la bandiera
con la foglia di acero e lo sciroppo di acero, sapevo anche che era
un posto importante per la nuova danza e che la gente parlava o
inglese o francese, che li vicino c'erano anche indiani ed
eschimesi.E boschi immensi. Non sapevo niente altro. Aereoporto,
periferia di Montreal, non bella, non brutta, enorme periferia. Spazi
enormi. Un taxi per portarmi in albergo. Una brutta strada che non
era brutta , ma piena di alberghi. Non amo stare nelle strade piene
di alberghi con il via vai continuo degli autobus stracarichi di
turisti, amo abitare, fosse anche solo per una settimana, dove abita
la gente del posto. Le prime immagini che ho di Montreal mi danno
l'idea di libertà. L'aria fresca, il vento continuo, le strade
polverose non troppo curate, le nuvole che corrono a velocità
impresssionante, niente a che vedere con l'andamento calmo delle
nostre. La gente mi piace subito, non troppo curati, non troppo
trasandati, i vestiti a strati, se ti fermi a controllare la cartina,
subito si avvicinano e ti chiedono se hai bisogno di aiuto. C'è
dignità e rispetto anche per i barboni che hanno la possibilità,
sempre, di un angolo protetto. La notte li ho visti dormire dentro le
sale bancomat delle banche. Vicino al mio albergo un grande
parcheggio non asfaltato con alcune case cadenti e poi una
lunghissima strada di cui mi sono innamorato e che è stata la mia
principale frequentazione. Una mattina presto, nessuno per strada,
ho incrociato un trans, alto , nero, magrissimo completamente fatto.
Le unghie con lo smalto smangiucchiato. Procedeva a ritmo lento,
naturalmente diva. Non si accorgeva di nessuno, non vedeva nessun. In
mano un contenitore di plastica con degli spaghetti troppo unti. Con
l'altra mano , lentamente e svogliatamente, ogni tanto prendeva degli
spaghetti e li metteva in bocca . Avanzava ciondolando e cantava una
canzone d'opera :"casta diva". Sommessamente,
delicatamente, per sè. Sono stato una settimana a Montreal, poco per
vedere o capire una metropoli, poco per capire o vedere il Quebec o
il resto del Canada. La strada di cui mi ero innamorato, è divisa
in due parti. Una parte totalmente francese. Pulita elegante, negozi,
farmacie. Ho avuto bisogno della farmacia e ho incontrato la
titolare, una signora piemontese. Non immaginavo quanti italiani
vivessero in Canada. Ancora prima di andare un albergo , avevo visto
un bar "caffè italiano" talmente italiano che il
proprietario, in Canada ormai da quarant'anni, non sapeva nè il
francese, nè l'inglese, neanche l'italiano. Parlava solo il suo
dialetto , veneto mi pare. Ritorniamo alla nostra strada, la metà
francese c'erano i mercati di cibo e i tantissimi ristorantini più o
meno etnici. L'altra parte inglese, meno curata, più rumorosa, piena
di tutto e il contrario di tutto. E la mia giornata era così
scandita. La mattina in giro per la città sotterranea. Il pomeriggio
e la sera il mio dovere di lavoratore, e di notte la strada,
esclusivamente la parte inglese. In Canada l'inverno, ma anche la
primavera possono essere molto freddi, praticamente impossibile
uscire di casa, allora esiste una città sotterranea. Da molti garage
di condomini partono strade sotterranee che vanno a congiungersi con
la metropolitana e appunto anche con l'altra città. Città vera e
propria che si snoda anche per quattro piani sottoterra. Ci sono
anche piazze e fontane. Diversi pozzi prendono e ridanno aria e luce
dal suolo sopra. Cosa c'è in una città sotterranea? Tutto, compresa
l'allegria di gente sempre in movimento e con la voglia di parlare e
di ridere. Montreal niente a che fare con il nord industrializzato
degli Stati Uniti, c'è un tale miscuglio di colori ed etnie che
sembrano coesistere in maniera ottimale. Salvo però rimanere o
inglesi o francesi. Le ragazze e i ragazzi che si vedono per strada
hanno spesso i tratti incrociati dalle divesre etnie e sono belli.
Una bellezza, diffusa, piacevole, serena. Non troppo curata o
incellofanata. Una bellezza ricoperta e vestita a strati. La notte,
la parte di strada francese era noiosissima, negozi chiusi, città
per bene. La strada inglese era un incrocio continuo di vitalità,
erotismo e allegria. Niente a che fare con i quartieri a luci rosse
per esempio di Amsterdam o Amburgo, cupi, inquietanti. Qua tutto si
mescolava. Locali , bar e ritrovi di tutti i tipi. Locali per sole
donne, probabilmente strep tease maschili. Fila interminabili di
donne all'ingresso, da dove ogni tanto usciva per fare un giretto di
propaganda un qualche giovanotto muscoloso e con tanga ridottissimo
fra il tripudio e gli applausi generali. Locali con prostitute di
alto bordo sulla porta. E locali in continuazione di tutti i generi e
per tutti i gusti. Di fronte al locale per le ragazze, dall'altra
parte della strada, una chiesa e persone, non solo barboni, che
facevano la fila per avere un pasto caldo. Ad un certo punto, da una
parte un locale , anche qui fila di ragazzi e ragazze, sulla strada
passa lentamente una limousine, con sbracciate alcune ragazzine,
giovanissime, belle ed eleganti che iniziano a prendere in giro ,
allegramente, le persone in fila. Per diversi minuti c'è stato un
continuo botta e risposta fra le persone in fila e le ragazzine della
limousine. Parlavano di sesso e di accoppiamenti, ma era un botta e
risposta scandito da risate continue da entrambe le parti. L'ultima
notte non avevo voglia di tornare in albergo. Non avevo voglia di
dormire e fino all'alba me ne sono stato in giro per strada e
locali. Il giorno dopo, il giorno della partenza - chiaramente non ho
visto solo la città sotterranea e la strada metà inglese, metà
francese – la malinconia della partenza per una città che mi era
entrata nel cuore. Il tempo era splendido, cielo, azzurro intenso ,
spesso blu come gli occhi che spesso incrociavo. Chiamo un taxi e
quando scendo ne trovo due. Un taxista era bianco, l'altro nero e
ognuno dei due affermava che il taxi chiamato era il suo. Hanno
iniziato a litigare. Uno diceva " tu ce l'hai cone me perchè
sono nero" – quell'altro gli rispondeva " tu ne
approfitti a fare la vittima". Rischiavamo di perdere l'aereo.
Non ricordo se sono salito sul taxi dell'uomo nero o dell'uomo
bianco. In uno sono salito. Improvvisamente e velocemente il cielo
ha iniziato ad essere percorso da nuvole impazzite ed ha iniziato a
piovere. Era aprile. Pioveva tantissimo e altrettanto improvvisamente
ha iniziato a nevicare. Quando sono arrivato in aereoporto, la neve
era talmente tanta che non si riusciva a partire. Poi a Detroit per
il cambio aereo hanno perso le valige, le mie e quelle di una coppia
di Montreal che veniva in italia per le vacanze. Abbiamo perso la
coincidenza e non c'erano più aerei per l'Italia. Dopo corse
affannose da un terminal all'altro, qualche persona pietosa ci ha
caricati su di un aereo che faceva scalo in Svizzera e di lì un
altro aereo finalmente per Malpensa dove ho dovuto aspettare ore per
riuscire a recuperare i miei bagagli. In giro per aerei praticamente
due giorni. E sporco, sudato, stanco, assonnato, sul trenino del
ritorno, già guardavo il calendario per decidere quando sarei potuto
ritornare.
Non sto a seguire una logica
spazio-temporale, l'unica logica che intendo seguire è quella del
cuore e della bellezza che anche se non è tale , tale diventa nel
racconto e nei ricordi fino a trasformarsi in qualcosa di mistico
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