martedì 21 luglio 2020

sul viale del tramonto o qualcosa del genere

Sto terminando di leggere "la vita gioca con me" di Grossman. E da tutti questi, tanti libri, sempre "terribili" che ho letto da gennaio ad oggi, ho imparato tantissimo e tantissimo mi hanno dato. Poi riprenderò a leggere il libro di Mariella Fabbris che avevo un attimo accantonato, perchè troppi ricordi e un pò di malinconia. Ma poi ritorno.


Fra non molto, a fine agosto, toh giorno del mio compleanno, inizierà il festival Odissea, quello dei vent'anni, quello dell'ultimo atto. Quando scriviamo le presentazioni, quelle che scrivo io , Zappalaglio dice che fanno schifo e di rimando io a lui. Questa volta, senza bisogno di correggere o aggiungere nulla ,  lui ha scritto una breve presentazione, forse non perfetta a livello linguistico, ma lucida, essenziale, emozionante. Gli ho detto :"va bene così", non c'è da cambiare nulla. Vent'anni, tante storie, tante persone incontrate. Dai primi anni, festival lunghissimo con tanti spettacoli, ad oggi, un pochino spettinato, pochi comuni, ma orgoglioso di sè. L'ultimo anno. Io già da due anni avevo deciso questa cosa, Zappalaglio un pochino titubante, ma alla fine " si è arreso" e convinto. Senza malinconie. Poi cosa succederà dopo, non lo sappiamo. Zappalaglio mi butta già delle idee, io rispondo :" aspetta". 

Quest'anno il lockdown, non sappiamo come sarà l'inverno, speriamo non a fine agosto settembre. 
Amo questa professione e le tante persone, artisti, tecnici, pubblico che abbiamo incontrato e abbracciato. 
Ma il lockdown ha tirato fuori in me una inquietudine, una insopportabilità che durano da anni. Tanti si sono lamentati, oddio i teatri chiusi, ma le realtà , i teatri, le produzioni, i centri e via dicendo, hanno preso soldi senza investire nulla. Fregati sono gli attori , i musicisti, i tecnici, le maestranze, tutte quelle persone senza una realtà alle spalle se non il loro lavoro. Ma non voglio parlare di questo. Ritorno al libro di Grossman , l'ultimo di una lunga serie di mie letture che avevano dei punti in comune: l'identità, la casa, la memoria, il viaggio, la fuga, la paura. E mi ci sono avvolto in pieno. In storia non sono mai stato una cima, della ex jugoslavia sapevo poche cose , quello che sapevano tutti. Questi pensieri dal libro di Grossman e ho fatto una ricerca per approfondire. Sapevo in linea di massima come Tito fosse uscito dagli accordi con l'unione sovietica, ma non sapevo che fine anni 40, primi anni 50, tutti i dissidenti o presunti tali, "collaborazionisti" di Stalin, venivano incarcerati e processati e spesso ammazzati in maniera sommaria. Buttati li in quella isola-lager della Croazia, l'isola Calva. Ma è altro il mio ragionamento. 

Fine anni 40, primi anni 50, dopo già i grandi esodi della guerra e del subito dopoguerra, da tante parti , Europa, Europa dell'est, tanta gente, tantissimi motivi, inizia a fuggire e non solo gli Ebrei che andavano in Israele. Ora cito i due paesi che mi interessano, sempre fine anni 40, inizio anni 50. Dalla Croazia fuggono tantissime persone, oltre quelle già fuggite , per fame, miseria, per le epurazioni e il pugno duro di Tito. Fine anni 40, inizio anni 50, tanta gente, oltre quella già fuggita, fugge dal nord del Portogallo e zona confinante spagnola, per miseria, per paura, per le epurazioni della dittatura. Io so di non avere nel mio dna nessuna traccia di dna italiano. Sono fortissime due tracce: isola di Crès - Croazia e Portogallo del nord- confini Spagna del nord ovest. Quindi un genitore proveniva da una zona e l'altro dall'altra. Forse loro erano già italiani , ma allora senz'altro i loro genitori provenivano chi dalla Crozia, chi dal Portogallo. Leggendo il libro di Grossman e il fatto che i protagonisti riprendano tutto con una videocamera, mi fa pensare che anch'io avrei desiderato registrare. Avevo comprato anche un registratorino, ma non mi sembrava bello nei confronti di mia madre , dato che non avrebbe accettato questa idea. Perchè le parole che mi ha detto negli ultimi anni sono tantissime e in queste tantissime c'è , c'era, la verità. Chi mi conosce , chi mi legge, magari sta pensando: "ancora?". Si. Ho cercato per anni, non ce la faccio più a cercare, sono stanco, non devo trovare qualcuno, ma solo la verità. Quando avevo letto il libro di Giulio Cavalli "mamma santa" ci sono rimasto male. Uscivano fuori dei rancori e frasi anche poco piacevoli, nei confronti della propria madre naturale, ma anche di quella che lo aveva adottato. Io non ho nessun tipo di rancore, neanche rabbia. Sono solamente grato per il fatto che la mia vita si sia svolta così. Però questo sapere cosa è successo,  ne avrei bisogno. Per togliermi dal torpore in cui mi sono cullato in questi ultimi anni. Un pò come il raglio dell'asino dell'Idiota di Dostojevsky. 

Di tutte le tante parole che mi diceva mia madre, a volte lucida , a volte persa nei suoi pensieri, venivano fuori 4 fratelli, tre maschi e una femmina, continuamente evocati, e un padre di questi miei ipotetici fratelli ,morto di morte violenta, a volte mia madre diceva suicidio, a volte omicidio. Un colpo di pistola. Mia madre non ha mai voluto parlare nè "della madre dei miei quattro fratelli", nè della "mia". Ancora non so se sono persone  e situazioni diverse o le stesse. Solo una volta pochi giorni prima di morire, mia madre mi ha detto, quasi urlato che non conosceva mia madre, l'aveva vista solo una volta, nel momento in cui partoriva. Del mio presunto padre mi ha raccontato di più, tipo che Enzo era il nome che lui avrebbe voluto per me. Mio padre che mi ha cresciuto non mi avrebbe mai chiamato Enzo, infatti all'anagrafe sono segnato Giuseppe e sul certificato di battesimo è uscito anche che avevo un terzo nome :"Paolo". Che da quando lo so, trovo orribile il nome Paolo. Per cui le mie ipotesi non sono tantissime ( sempre in base ai discorsi di mia madre). Nato da una donna che forse non sapeva neanche chi fosse "l'inseminatore" o che se lo sapeva, non poteva tenere il bambino. Una disgrazia, per cui il bambino nato, l'ultimo era da dare via, altrimenti il collegio. Un padre, ufficiale della guardia di finanza, proveniente da zone croate e una madre di origini portoghesi . Una famiglia povera che ha bisogno di sbolognarsi l'ultimo figlio, per salvare gli altri. (nessuna di queste ipotesi esclude le altre) .Poi vabbè c'è anche il classico del neonato buttato in un fosso, ma questa ipotesi per me, non mi piace. Ho diversi motivi per pensare alla guardia di finanza. Avevo anche telefonato e scritto alla guardia di finanza di Forlì ( ho dei motivi e non andavo a casaccio) ma non mi hanno mai risposto. L'altra cosa che mi tramortisce, è che ho la sensazione che tanti sappiano, ma che nessuno voglia parlare. Come il comandante dei carabinieri della caserma del paese vicino che mi ha ascoltato al telefono, non mi ha voluto ricevere e mi dice che di allora non ci sono più documenti ( e quella era una zona calda della Romagna) perchè erano troppi e li hanno distrutti. E non c'è stato verso.  So che le origini non te le da il tuo dna, non completamente, però c'è questo mio bisogno di fuga continua che inizia ad essere pesante. Ora avrei ancora voglia di fuggire, ma ho paura. Non so cosa succederà il prossimo anno nè dove sarò, però con la vecchiaia mi sto aggrappando a tante cose  quasi a volere delle radici che non ho mai voluto. A cominciare dagli amori o dalla casa. Qua ho degli amici, storie importanti e sono loro la mia famiglia. Avrei voglia di fuggire ancora, ma il mio corpo e la mia testa incominciano ad essere stanchi. Non mi farebbe paura ricominciare, sono sempre andato allo sbaraglio, è la paura di perdere questa mia "famiglia" che mi sta frenando. Per cui, un pò "sulla via del tramonto", un pò il mio stato catatonico, sono qua. In attesa. Continuo a scrivere di me e di queste cose, ogni tanto metto una mia foto sui social (e odio farmi fotografare e mettere mie foto) con la speranza che prima o poi qualcuno possa leggere e potersi riconoscere. E magari cercarmi. E allora gli direi : non voglio niente, non devo avere niente, neanche amicizia o affetto o frequentazioni, voglio solo sapere". Anche se il sapere mi dovesse fare impazzire. 

Sto finendo il libro di Grossman e sto ritardando perchè non so come sarà il finale, non credo rose e fiori. Queste fughe e questa ricerca ossessiva di ciò che è stato , me le sento molto vicine.
I tramonti una volta mi mettevano malinconia, oggi è più una questione di saudade che come dice Wikipedia :" saudate, portoghese, brasiliano. E' un termine che deriva dalla cultura, prima galiziano e portoghese e poi brasiliana e indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia..." Suppergiù. ciao

giovedì 9 luglio 2020

Brevissimo romanzo inutile di mezza pagina

PROLOGO: ieri su fb, parlavo di romanzi e il desiderio di trovarne uno con pochi personaggi, senza tanti pensieri e cortissimo, così ho deciso di scrivermelo da solo.

TITOLO
LA SPENSIERATEZZA DEL TOPO


Lui, il senza nome, socchiuse le finestre dato che faceva troppo caldo. Aveva fame e raccimolò dal frigorifero gli avanzi dei giorni precedenti.  "Sono ancora buoni, sono andati a male? boh!". Poi all'improvviso gli venne voglia di fare all'amore. In maniera pressante, come neanche si ricordava. Prese una birra gelata, andò in camera da letto e si spogliò. Poi si guardò "no fare l'amore ancora da soli no". Si dimenticò della birra, si rivestì - anche perchè nudo faceva un pò schifo - e si addormentò. Sognò mari in tempsta e fragili barchette allo sbando. Sognò lupi ululare alla luna e caprioli abbaiare in calore. Sognò montagne piene di neve che si scioglievano e diventavano fango. Sognò qualcuno che russava e si svegliò. Spostò le tende e andò al balcone. Lì, sul balcone di fronte, il vicino , grasso con la pancia all'aria e mutande che avevano visti tempi migliori, stava russando beato insaccato dentro uno sdraio troppo piccolo per lui. Un topo continuava a correre avanti e indietro cercando riparo dal caldo. Lui il senza nome, iniziò a battere le mani per  allontanare la bestia che continuava il suo avanti e indietro che sembrava una danza. Il vicino si svegliò, si grattò la dove le mutande un tempo erano state tali e :" cosa ghèt dè hardà pò, cojò " - "incùlet". Dall'altro lato , altro balcone, una grossa vecchia signora  infagottata in uno striminzito , una volta costume da bagno, con le cosce , la pancia e le tette che cercavano di scoppiare, continuava a farsi aria con un pezzo di cartone e continuava a ripetere come un mantra: "fa colt, fa colt, fa colt" - "pota". Il vicino si era riaddormentato e la pancia continuava ad andare su e giù seguendo il flusso del russare. La vicina con un mestolo si cospargeva di acqua. Il topo, dopo avere preso confidenza delle cosce, mutande e pancia del vicino , aveva inizato a danzare sulla ringhiera del balcone. Lui il senza nome, chiuse la finestra e ruttò. 

FINE del mio romanzo brevissimo e inutile

EPILOGO: 
traduzione on line dei pezzi in dialetto bergamasco a cura di Marco Zappalaglio