lunedì 2 novembre 2015

dove eravamo dieci anni fa? Boh: san pietroburgo mi dice Marco

Dove eravamo dieci anni fa?” mi chiede Marco. “Cosa vuoi che sappia” rispondo io. Sono alle prese con Peter che da due giorni non sta molto bene e mi sta continuamente appiccicato. Addirittura prima ho visto un caro amico e avrei voluto abbracciarlo, ma Peter non gradiva e gli si stava scagliando contro. Ora sto scrivendo con una mano perché quell'altra devo fargli “pat-pat”. “dove eravamo dieci anni fa?” - “Boh!”. San Pietroburgo. Cazzo. E improvvisamente la bomba dei ricordi e delle sensazioni mi ha deflagrato la mente. Le file interminabili al consolato a Milano per avere il visto, c'era sempre qualcosa che non andava bene. Poi l'aereo, emozione, Russia, San Pietroburgo. Poi l'arrivo, file e controlli interminabili. L'uscita, una serata fredda con i mucchi di neve lungo le strade. Ad attenderci una signora del consolato italiano, e un omone biondo che sembrava uscito da un film di James Bond. E una bmw nera vecchia un pochino scassata. Dovevamo salire, l'omone biondo voleva aprirci la portiera, ma la portiera non si apriva. Tutto risolto con un calcio. Le lunghe fredde strade della periferia, i grandi palazzi brutti e grigi, chilometri. Poi improvvisamente san Pietroburgo, quella da cartolina quella della prospettiva Nevskij e l'albergo in una stradina appiccicata ad uno degli innumerevoli canali che attraversano la città. Il consolato che ci aveva invitato per il nostro spettacolo “Caravaggio” aveva fatto le cose in grande. Era una due giorni dedicata a Caravaggio con invitati tutti i maggiori corrispondenti di moda e costume e società dei giornali italiani. Una due giorni voluta dal consolato e dalla regione Piemonte per sponsorizzare una regione e una nazione. L'albergo da lusso e a disposizione una suite, una per me e una per Marco. Non avevo mai dormito in una suite tutta per me. Non male. Peccato che la tv era sintonizzata su di un unico canale porno, i porno più schifosi che abbia mai visto. Ma la mia tv era stare alle finestre. Una vista sui tetti da infarto. Ci avevano chiamato per questa due giorni eccezionali, avremmo dovuto presentare il nostro Caravaggio all'Hermitage. Prima di noi il teatro dell'Hermitage era stato calcato solo dal Piccolo. Due mesi il tempo per avere il permesso di farlo li. Hanno richiesto tutta la nostra documentazione, le foto, il testo, la nostra storia e quando ormai avevamo perso le speranze, il permesso è arrivato. Avevo già raccontato dieci anni fa questa nostra avventura: il teatro dell'hermitage, una ricchezza dell'architettura, circa venti tecnici a disposizione. Che al momento di lavorare sparivano sempre. Per cui mi sono montato i fari, vecchi fari cinematografici pesantissimi da duemila watt. Alla faccia della discrezione dei colori che volevo ricreare. Poi al momento dello spettacolo, ho cacciato i tecnici, mai visti fino allora, che mi stavano sulle spalle. Loro si sono rinchiusi in una stanza vicina e hanno continuato a bere ed a ridere per tutto lo spettacolo. Io seguivo lo spettacolo in una stanza murata, su di un monitor, pure questo vecchissimo , e facevo le luci. Per la fonica, un tecnico in un'altra stanza, che non aveva monitor né visione dello spettacolo e con cui comunicavo tramite radiotrasmittente. In inglese e né io né lui conoscevamo l'inglese. Marco imperterrito, quando si deve fare Caravaggio e ci sono io che lo proteggo, non ha paura di nulla. Lui bravissimo, sul proscenio alcuni monitors con la traduzione in simultanea, fatta dalla nipote del più grande regista russo di teatro. Aveva imparato in pratica il testo a memoria. Fortuna Marco non ha dimenticato nulla. Tutto perfetto, applausi, Marco continuava a farmi segno che anch'io salissi sul palco, non sapevo neanche come si potesse uscire da quella stanza in cui ero stato imprigionato. Poi sudato, sporco, puzzolente come una capra, pieno dei fumi di alcool che mi arrivava dalla stanza dei tecnici, sono riuscito ad uscire e vedere tutti gli invitati. Porca miseria, gente importante, signore in abito lungo, eleganza. Nel pomeriggio avevo cercato di sbirciare il museo, ma immancabilmente alcune guardie mi riportavano alle mie postazioni. Smontaggio, dico con Marco, vai con gli altri a fare presenza, qua mi arrangio io. C'era anche Laura Tonatto che aveva ideato un profumo dedicato a Caravaggio, ne hanno regalato anche un flacone, tutti numerati, a me e a Marco. La signora del consolato italiano continuava a ripetere, spicciati Enzo che dobbiamo andare, ci chiudono il museo. L'idea di dovere passare la notte imprigionato nelle stanze dell'Hermitage con le guardie notturne del museo mi ha fatto volare. Peccato che per uscire, nessuno ci aveva detto che per entrare avremmo dovuto dichiarare il contenuto delle valige, ci hanno bloccato e non solo non volevano lasciare le valige, ma neanche me e Marco. Alla fine intervento di diplomatici italiani e russi ce l'abbiamo fatta. Che bella e piacevole l'aria della notte di san Pietroburgo. Poi macchina che carica le valige da portare in albergo, taxi che carica me , Marco, la signora del consolato e un'altra persona verso la casa del console. Piazza meravigliosa, Teatro meraviglioso di fronte, assomigliava alla place des Vosges di Parigi. Documenti di rito, riconoscimento di rito, palpazioni che non hai armi di rito e infine dentro l'appartamento del console italiano. Io avrei voluto andare a fare una doccia, andarmi a cambiare, fortuna ci eravamo portati le giacche. La situazione da film, i maggiori imprenditori italiani, nobiltà decaduta e imboscati piemontesi, le maggiori firme del giornalismo modaiolo italiano. Tutto raffinatissimo finché non è arrivato il mangiare. Orde di barbari volgarissimi in abiti firmati. Il caviale mangiato a cucchiaiate. Un giovanotto da jet set di famiglia importante piemontese continuava a mangiare come un maiale e a starmi appiccicato per rompermi i maroni. Poi ci siamo capiti con un cameriere russo cui avevo detto che ero di origine mongola e mi ha fatto entrare in un cortiletto così mi sono messo a fumare e ad aspettare che tutto finisse. Siamo stati tre o quattro giorni, non ricordo, e la regola era che non avremmo mai dovuto spostarci da soli, ma dire sempre dove andavamo e possibilmente farci accompagnare da qualcuno. Figuriamoci. San Pietroburgo è bellissima, ma da paura. Le grandi case che rinchiudono dentro altre case che rinchiudono dentro altre case, sembra all'infinito. Uno potrebbe essere rapito a san Pietroburgo e nessuno se ne accorgerebbe. Abbiamo girato tanto in maniera non ufficiale.
Non puoi andare a San Pietroburgo e accontentarti dei viaggi ufficiali e programmati. Ricchezza e povertà. Grandiosità e miseria, tutto all'ennesima potenza. Non è una città da andarci da soli, ma una città da andarci e di corsa. Ieri in televisione la piazza dellHermitage invasa dalle persone in lutto per l'aereo esploso sul Sinai. Allora i venditori di tutto e tutti parlavano italiano. E poi la gente, gli ubriachi della notte , i barboni che si lavavano, alla faccia del freddo, dentro i canali, i prostituti o le prostitute tutti giovanissimi che ci inseguivano e ci ammiccavano, i ladruncoli in agguato, le chiese maestose , una tutta d'oro. Poi eravamo stati invitati ad un festival, non ricordo quale zona. Una cosa molto particolare, un festival all'aperto dove qualsiasi situazione atmosferica, pubblico e attori dovevano rimanere fino alla fine. Ma era troppo complicato per arrivarci e non avremmo avuto con noi nessuno e l'idea di perdermi su qualche aereo in qualche regione sperduta della Russia, mi ha spaventato. Il ritorno poi, con già nel cuore il mal di Russia, il solito omone biondo, la macchina nera scassata, i cumuli di neve sulle strade, i grandi squadrati palazzoni dell'ex unione sovietica, le file interminabili per il check in e l'arrivo a Malpensa. Ora il mio cane è sdraiato in veranda e mi sta guardando come per dire “andiamo a casa” . Si Peter andiamo a casa.

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