“Dove
eravamo dieci anni fa?” mi chiede Marco. “Cosa vuoi che sappia”
rispondo io. Sono alle prese con Peter che da due giorni non sta
molto bene e mi sta continuamente appiccicato. Addirittura prima ho
visto un caro amico e avrei voluto abbracciarlo, ma Peter non gradiva
e gli si stava scagliando contro. Ora sto scrivendo con una mano
perché quell'altra devo fargli “pat-pat”. “dove eravamo dieci
anni fa?” - “Boh!”. San Pietroburgo. Cazzo. E improvvisamente
la bomba dei ricordi e delle sensazioni mi ha deflagrato la mente. Le
file interminabili al consolato a Milano per avere il visto, c'era
sempre qualcosa che non andava bene. Poi l'aereo, emozione, Russia,
San Pietroburgo. Poi l'arrivo, file e controlli interminabili.
L'uscita, una serata fredda con i mucchi di neve lungo le strade. Ad
attenderci una signora del consolato italiano, e un omone biondo che
sembrava uscito da un film di James Bond. E una bmw nera vecchia un
pochino scassata. Dovevamo salire, l'omone biondo voleva aprirci la
portiera, ma la portiera non si apriva. Tutto risolto con un calcio.
Le lunghe fredde strade della periferia, i grandi palazzi brutti e
grigi, chilometri. Poi improvvisamente san Pietroburgo, quella da
cartolina quella della prospettiva Nevskij
e l'albergo in una stradina appiccicata ad uno degli innumerevoli
canali che attraversano la città. Il consolato che ci aveva invitato
per il nostro spettacolo “Caravaggio” aveva fatto le cose in
grande. Era una due giorni dedicata a Caravaggio con invitati tutti i
maggiori corrispondenti di moda e costume e società dei giornali
italiani. Una due giorni voluta dal consolato e dalla regione
Piemonte per sponsorizzare una regione e una nazione. L'albergo da
lusso e a disposizione una suite, una per me e una per Marco. Non
avevo mai dormito in una suite tutta per me. Non male. Peccato che la
tv era sintonizzata su di un unico canale porno, i porno più
schifosi che abbia mai visto. Ma la mia tv era stare alle finestre.
Una vista sui tetti da infarto. Ci avevano chiamato per questa due
giorni eccezionali, avremmo dovuto presentare il nostro Caravaggio
all'Hermitage. Prima di noi il teatro dell'Hermitage era stato
calcato solo dal Piccolo. Due mesi il tempo per avere il permesso di
farlo li. Hanno richiesto tutta la nostra documentazione, le foto, il
testo, la nostra storia e quando ormai avevamo perso le speranze, il
permesso è arrivato. Avevo già raccontato dieci anni fa questa
nostra avventura: il teatro dell'hermitage, una ricchezza
dell'architettura, circa venti tecnici a disposizione. Che al momento
di lavorare sparivano sempre. Per cui mi sono montato i fari, vecchi
fari cinematografici pesantissimi da duemila watt. Alla faccia della
discrezione dei colori che volevo ricreare. Poi al momento dello
spettacolo, ho cacciato i tecnici, mai visti fino allora, che mi
stavano sulle spalle. Loro si sono rinchiusi in una stanza vicina e
hanno continuato a bere ed a ridere per tutto lo spettacolo. Io
seguivo lo spettacolo in una stanza murata, su di un monitor, pure questo vecchissimo , e
facevo le luci. Per la fonica, un tecnico in un'altra stanza, che non
aveva monitor né visione dello spettacolo e con cui comunicavo
tramite radiotrasmittente. In inglese e né io né lui conoscevamo
l'inglese. Marco imperterrito, quando si deve fare Caravaggio e ci
sono io che lo proteggo, non ha paura di nulla. Lui bravissimo, sul
proscenio alcuni monitors con la traduzione in simultanea, fatta
dalla nipote del più grande regista russo di teatro. Aveva imparato
in pratica il testo a memoria. Fortuna Marco non ha dimenticato
nulla. Tutto perfetto, applausi, Marco continuava a farmi segno che
anch'io salissi sul palco, non sapevo neanche come si potesse uscire
da quella stanza in cui ero stato imprigionato. Poi sudato, sporco,
puzzolente come una capra, pieno dei fumi di alcool che mi arrivava
dalla stanza dei tecnici, sono riuscito ad uscire e vedere tutti gli
invitati. Porca miseria, gente importante, signore in abito lungo,
eleganza. Nel pomeriggio avevo cercato di sbirciare il museo, ma
immancabilmente alcune guardie mi riportavano alle mie postazioni.
Smontaggio, dico con Marco, vai con gli altri a fare presenza, qua mi
arrangio io. C'era anche Laura Tonatto che aveva ideato un profumo
dedicato a Caravaggio, ne hanno regalato anche un flacone, tutti
numerati, a me e a Marco. La signora del consolato italiano
continuava a ripetere, spicciati Enzo che dobbiamo andare, ci
chiudono il museo. L'idea di dovere passare la notte imprigionato
nelle stanze dell'Hermitage con le guardie notturne del museo mi ha
fatto volare. Peccato che per uscire, nessuno ci aveva detto che per
entrare avremmo dovuto dichiarare il contenuto delle valige, ci
hanno bloccato e non solo non volevano lasciare le valige, ma neanche
me e Marco. Alla fine intervento di diplomatici italiani e russi ce
l'abbiamo fatta. Che bella e piacevole l'aria della notte di san
Pietroburgo. Poi macchina che carica le valige da portare in albergo,
taxi che carica me , Marco, la signora del consolato e un'altra
persona verso la casa del console. Piazza meravigliosa, Teatro
meraviglioso di fronte, assomigliava alla place des Vosges di
Parigi. Documenti di rito, riconoscimento di rito, palpazioni che non
hai armi di rito e infine dentro l'appartamento del console italiano.
Io avrei voluto andare a fare una doccia, andarmi a cambiare, fortuna
ci eravamo portati le giacche. La situazione da film, i maggiori
imprenditori italiani, nobiltà decaduta e imboscati piemontesi, le
maggiori firme del giornalismo modaiolo italiano. Tutto
raffinatissimo finché non è arrivato il mangiare. Orde di barbari
volgarissimi in abiti firmati. Il caviale mangiato a cucchiaiate. Un
giovanotto da jet set di famiglia importante piemontese continuava a
mangiare come un maiale e a starmi appiccicato per rompermi i maroni.
Poi ci siamo capiti con un cameriere russo cui avevo detto che ero di
origine mongola e mi ha fatto entrare in un cortiletto così mi sono
messo a fumare e ad aspettare che tutto finisse. Siamo stati tre o
quattro giorni, non ricordo, e la regola era che non avremmo mai
dovuto spostarci da soli, ma dire sempre dove andavamo e
possibilmente farci accompagnare da qualcuno. Figuriamoci. San
Pietroburgo è bellissima, ma da paura. Le grandi case che
rinchiudono dentro altre case che rinchiudono dentro altre case,
sembra all'infinito. Uno potrebbe essere rapito a san Pietroburgo e
nessuno se ne accorgerebbe. Abbiamo girato tanto in maniera non
ufficiale.
Non puoi andare a San Pietroburgo e accontentarti dei
viaggi ufficiali e programmati. Ricchezza e povertà. Grandiosità e
miseria, tutto all'ennesima potenza. Non è una città da andarci da
soli, ma una città da andarci e di corsa. Ieri in televisione la
piazza dellHermitage invasa dalle persone in lutto per l'aereo
esploso sul Sinai. Allora i venditori di tutto e tutti parlavano
italiano. E poi la gente, gli ubriachi della notte , i barboni che si
lavavano, alla faccia del freddo, dentro i canali, i prostituti o le
prostitute tutti giovanissimi che ci inseguivano e ci ammiccavano, i
ladruncoli in agguato, le chiese maestose , una tutta d'oro. Poi
eravamo stati invitati ad un festival, non ricordo quale zona. Una
cosa molto particolare, un festival all'aperto dove qualsiasi
situazione atmosferica, pubblico e attori dovevano rimanere fino alla
fine. Ma era troppo complicato per arrivarci e non avremmo avuto con
noi nessuno e l'idea di perdermi su qualche aereo in qualche regione
sperduta della Russia, mi ha spaventato. Il ritorno poi, con già nel
cuore il mal di Russia, il solito omone biondo, la macchina nera
scassata, i cumuli di neve sulle strade, i grandi squadrati palazzoni
dell'ex unione sovietica, le file interminabili per il check in e
l'arrivo a Malpensa. Ora il mio cane è sdraiato in veranda e mi sta
guardando come per dire “andiamo a casa” . Si Peter andiamo a
casa.
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